In ogni guerra ci sono immagini che si vorrebbe non aver mai girato.
Sulla strada di Ebron vicino al villaggio palestinese di Al Fawar cercavo con una camerina di inquadrare una torre dell’esercito quando sono arrivate le prime pietre. Le auto davanti a noi rallentavano, quelle dietro non vedendo quel che accadeva hanno iniziato a suonare.
Mostriamo la telecamera e raggiungiamo il gruppo dei palestinesi. Un camion fa inversione e si allontana.
Provo a raccontare quello che accade ma non riesco neppure a finire la frase che davanti a noi avviene qualcosa di surreale e al tempo stesso di orrendo. Qualcosa che dimostra come in Israele la rabbia prevalga ormai anche sull’istinto di sopravvivenza.
L’auto di un colono colpita più volte tenta da investire uno dei lanciatori di sassi poi fa inversione e si piazza in mezzo alla strada .
L’ uomo che scende con un bastone in mano si chiama Avraham Hasno, ha 54 anni 7 figli, 9 nipoti e pochi istanti di vita. Bloccato il traffico inizia a colpire col bastone le auto palestinesi quasi a dire: “Se voi tirate le pietre alle nostre auto noi prendiamo a bastonate le vostre”. Intorno a lui e sulla sua auto continuano a piovere sassi.
Un fotografo gli urla “Vai via di lì!” e quello risale sul furgone e accende. Pensiamo che abbia deciso di andarsene, invece manovra per bloccare un camion arabo in arrivo che cercava di superare la fila. Il colono scende e lo colpisce sul parabrezza. L’arabo accellera. Il colono per un attimo viene agganciato dal muso del camion poi scivola sotto le ruote. L’ultima foto mostra sul suo volto un’espressione quasi di stupore.
Il furgone continua la sua corsa trascinandolo per almeno 10 metri poi si allontana mentre il corpo del colono resta a terra.
Questa scena che non potremo dimenticare dimostra come, dopo 60 anni di guerra fra arabi ed ebrei, la rabbia prevalga ormai anche sull’istinto di sopravvivenza. Reagire, combattere, lottare, restituire colpo su colpo anche a costo di morire è diventato più importante che vivere. In poche settimane dozzine di palestinesi si sono fatti uccidere pur di scannare il primo ebreo che incontravano per la strada.
Il pretesto dell’Intifada dei coltelli è la contesa sulla Spianata delle moschee, ma forse le vere ragioni di questa rivolta suicida sono altre: la paralisi decennale del ‘processo di pace’, la marginalizzazione della questione palestinese in un mondo terrorizzato dall‘Isis e soprattutto il fallimento dell’ Autorità palestinese che collaborando con le forze dell’occupazione non ha ottenuto nulla. Non ha arginato l’espansione delle colonie – che rallentata da Netanyahu non si è mai fermata – né le violenze dei coloni che bruciando un’intera famiglia a Nablus hanno varcato il punto di non ritorno.
Con l’Intifada dei coltelli la guerra fra arabi ed ebrei ha fatto il salto definitivo verso la balcanizzazione, verso la pulizia etnica. Iniziata come uno scontro fra nazioni e nazionalismi si è imbarbarita di anno in anno, di rivolta in rivolta, di rappresaglia in rappresaglia sino a diventare uno corpo a corpo in cui ci si uccide guardandosi negli occhi. Un conflitto che insanguina scenari banali, quotidiani: l’ingresso di un supermercato, un marciapiede, la fermata di un autobus. Così quotidiani che c’è sempre una telecamera a riprendere la scena del crimine.
“AGISCI DA SOLO” l’ordine partito dalla Siria e dall’Isis che aveva innescato Amedy Coulibaly e i masscri di Parigi, in Israele è diventato il format che ogni giorno, arma esecutori giovanissimi che Hamas applaude come eroi e che l’autorità palestinese non controlla né condanna. Non a caso l’Isis ha subito rivendicato il copyright degli accoltellamenti con un filmato che benedice i “Mujaheddin di Gerusalemme”.
Israele paga un prezzo salatissimo in termini di vittime (anche oggi due uccisi) e di insicurezza totale, ma alla fine l’Intifada dei coltelli che colpisce bambini di 13 e vecchi di 70, farà più danni alla causa palestinese dell’Intifada dei kamikaze e delle stragi sugli autobus.
Stasera a “Terra!” (Rete4) in onda il mio reportage