Bergoglio prosegue la sua rivoluzione indicando altri due "pastori" alla guida di due delle più importanti diocesi italiane. Il primo è noto per la sua lotta alla mafia e i suoi scritti su don Puglisi. Il secondo, attuale ausiliare di Roma, è esponente della Comunità di Sant'Egidio: è noto per girare Roma con la sua utilitaria e la sua attenzione ai poveri
Due parroci alla guida delle arcidiocesi di Palermo e Bologna. È la rivoluzione di Papa Francesco che, contrastando il più classico “spoils system ecclesiale”, ha deciso di affidare la guida del clero dei capoluoghi della Sicilia e dell’Emilia Romagna nelle mani di due “pastori con l’odore delle pecore”.
Per Palermo, nomina che sarà resa pubblica oggi, 27 ottobre, Bergoglio ha scelto don Corrado Lorefice, 53 anni, nativo di Modica in provincia di Ragusa. Attualmente è vicario episcopale della diocesi di Noto guidata da monsignor Antonio Staglianò, divenuto famoso per le sue prediche in musica con brani di Noemi e Marco Mengoni. Lorefice è soprannominato “il don Ciotti della Sicilia” per la sua lotta alla mafia e i suoi scritti su don Pino Puglisi. Succederà al cardinale Paolo Romeo che guida l’arcidiocesi siciliana dal 2006 e che ha raggiunto da tempo ormai l’età canonica della pensione.
Teologo molto stimato, Lorefice è autore anche di un libro su “Dossetti e Lercaro: la Chiesa povera e dei poveri” in cui analizza gli interventi del “progressista” cardinale di Bologna negli anni Sessanta in cui il porporato chiedeva con forza al mondo ecclesiale di tornare al Vangelo delle origini spogliandosi del lusso e della mondanità della corte papale. Temi e lotte oggi al centro del pontificato di Francesco. Una nomina, quella di Lorefice, che ha stupito lui stesso. “Quando il nipote gli ha telefonato per dirgli che lo avevano fatto arcivescovo di Palermo – racconta a ilfattoquotidiano.it il fratello maggiore Michelangelo – lo zio prete gli ha risposto meravigliato: ‘Dove lo hai letto?’. Mio fratello non mi aveva detto niente e in famiglia siamo rimasti tutti molto stupiti di questa decisione del Papa”.
Per Bologna, invece, Bergoglio ha scelto monsignor Matteo Maria Zuppi, romano, 60 anni, dal 2012 vescovo ausiliare di Roma per il settore Centro, ma per numerosi anni parroco ed esponente della Comunità di Sant’Egidio fondata dall’ex ministro Andrea Riccardi. Succederà al cardinale Carlo Caffarra che guida l’arcidiocesi emiliana dal 2003 e che, come Romeo, ha raggiunto da tempo l’età canonica della pensione. Zuppi, che gira per Roma con la sua semplice utilitaria, è soprannominato “il Bergoglio italiano” per la sua modestia e la sua attenzione ai poveri e agli ultimi.
Due nomine inattese che lasceranno l’amaro in bocca a molti vescovi che negli ultimi mesi hanno sperato di essere promossi a Palermo e Bologna. Due sedi tradizionalmente cardinalizie, ma non è detto che ciò avverrà anche in futuro con Lorefice e Zuppi nel ribaltamento dei criteri voluto da Francesco che non ha ancora voluto dare la porpora al patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, e all’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia. Anzi, Bergoglio, lasciando delusi molti carrieristi, ha voluto nominare cardinali i vescovi di diocesi più piccole, come Perugia con Gualtiero Bassetti, Agrigento con Francesco Montenegro e Ancona-Osimo con Edoardo Menichelli. Tre uomini di cui il Papa si fida moltissimo e che ha voluto accanto a sé nel Sinodo dei vescovi sulla famiglia che ha aperto le porte della Chiesa ai divorziati risposati.
I criteri con i quali Bergoglio sta rinnovando l’episcopato mondiale, creando non pochi mal di pancia, sono stati indicati chiaramente da lui stesso. Parlando alla Cei Francesco ha sottolineato che “i laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità del vescovo pastore!”. Così come il Papa ha chiesto alla Congregazione per i vescovi, “nel delicato compito di realizzare l’indagine per le nomine episcopali”, di essere “attenti che i candidati siano pastori vicini alla gente: questo è il primo criterio. Pastori vicini alla gente. È un gran teologo, una grande testa: che vada all’università, dove farà tanto bene! Pastori! Ne abbiamo bisogno! Che siano, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; che amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da ‘principi’. Siate attenti che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato. E che siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra”.