E’ il ‘caso Moro’ del Medioriente, un vero intrigo internazionale: parliamo della scomparsa del famoso imam Moussa Sadr, di cui il mondo perse le tracce nella notte del 31 agosto del 1978. Si disse che passò per Roma e che i nostri servizi non fossero estranei a una vicenda che deviò il corso della storia del mondo sciita e dunque dell’intero Mediterraneo. Ma quasi quarant’anni dopo, una recente sentenza del Tribunale della capitale imprime una svolta: nessun coinvolgimento dell’Italia, pesanti responsabilità dell’ormai defunto dittatore libico Gheddafi.
La sua caratteristica fisica più marcata era l’altezza, quasi due metri, il resto è diventato una leggenda: nato in Iran da una famiglia libanese, Moussa Sadr divenne una guida spirituale molto autorevole e uno dei capi più abili del movimento di rinascita degli sciiti. Uomo del dialogo e della pace, nel 1974 fondò in Libano il Movimento dei diseredati da cui nacque in piena guerra civile il gruppo Amal – che ancora oggi esprime il presidente del parlamento libanese – per scomparire poi misteriosamente in quella notte di fine estate mentre si recava a Tripoli, insieme a due suoi compagni di viaggio, Mohamad Yacoub ed il giornalista Abbas Bedreddin.
E’ il caso Moro del Medioriente, un vero intrigo internazionale. L’imam voleva la pace tra le fazioni libanesi, mentre la Libia vendeva armi e puntava a un regime integralista
Quanto fosse importante il suo ruolo lo racconta la guerra diplomatica, e non solo, che scoppiò in seguito alla sua scomparsa: tra il 1979 e il 1981 cinque aerei furono dirottati, di cui uno a Roma, l’ambasciata libica di Beirut fu presa a cannonate (7 gennaio 1981), tre inchieste giudiziarie furono condotte in Italia (il giudice istruttore Domenico Sica andò a cercare prove tra Tripoli e Beirut e il procedimento del 1982 fu addirittura avocato dal procuratore generale Salvatore Vecchione), il leader libico Gheddafi non mise mai più piede né in Iran né il Libano. Ed appena anche il rais scomparve dalla scena, ucciso in quel modo barbaro che tutti ricordiamo, la prima azione del Libano fu quella di chiedere alle nuove classi dirigenti di Tripoli (non sospettavano che ci sarebbero state solo violenza e caos nel dopo Gheddafi) di fare chiarezza sul loro imam: da questo sarebbe nati i futuri rapporti tra il Libano e il (mai nato) Stato libico.
Tre inchieste giudiziarie furono condotte in Italia. Il giudice Sica andò a cercare prove tra Tripoli e Beirut
Il mondo sciita ha sempre ritenuto il colonnello l’unico responsabile della cancellazione dalla scena politica dell’imam che avrebbe combattuto per la giustizia sociale e la sovranità dei popoli del Medioriente. Cosa c’entra l’Italia? Il nostro Paese è spesso stato teatro delle guerre di spie: i servizi di mezzo mondo venivano qui a sbrigare le loro faccende. Andò così per anni. Nel 1986, quando il Mossad aveva il problema di riportare a casa Mordeacai Vanunu, il tecnico della centrale di Dimona che stava spifferando al Guardian di Londra i segreti della bomba nucleare di Tel Aviv, la signora Thacher parlò chiaro: qui da noi niente azioni sporche, andate a farle in Italia. E così andò. Subito dopo la scomparsa del grande imam libanese, furono diffuse notizie sulla sua tappa romana presso l’Holiday Inn, dove in effetti furono trovati alcuni suoi oggetti personali. Per molto tempo lo spostamento della scena del crimine a Roma evitò che il focus della vicenda fosse Tripoli: le autorità italiane non fecero resistenza a questo ‘piccolo’ dirottamente dei fatti.
La nuova inchiesta sancisce che Sadr non arrivò mai Roma e che le autorità libiche tramarono per coprire le loro responsabilità
Ma già nell’ottobre del 1978 il Time, in un articolo dal titolo “An imam is missing”, scriveva che Sadr era andato in Libia per partecipare alle cerimonie per l’ascesa al potere di Gheddafi, con il quale avrebbe dovuto avere un colloquio chiarificatore, e che un volo Alitalia fu prenotato a suo nome ma il giorno prima che le stesse celebrazioni fossero programmate. Al Porto delle nebbie, così veniva chiamata la Procura della capitale, si girò intorno alla questione che rimase da allora in sospeso. Tanto che una nuova inchiesta, di cui dà conto ilfattoquotidiano.it per la prima volta, è stata fatta di recente, su sollecitazione della indomita famiglia di Moussa Sadr: il procurare Marcello Monteleone e poi il gip Tiziana Coccoluto hanno chiuso la storia, almeno il versante romano, stabilendo (richiesta di archiviazione del 22 giugno 2015 e sentenza che l’ha accolta del 16 luglio 2015) che Moussa Sadr e i suoi due accompagnatori non sono mai arrivati a Roma e che le autorità libiche tramarono per coprire le loro responsabilità.
E’ degno di nota che il procuratore si è spinto a scrivere che la scomparsa dell’Imam è stata frutto di “un complotto del regime generato dall’aspro contrasto tra l’Imam e il colonnello Gheddafi, il primo favorevole ad una soluzione pacifica tra le varie religioni che realizzasse l’unificazione della popolazione libanese, il secondo, fornitore di armi alle diverse fazioni, propugnava una soluzione militare per un governo integralista”. I complotti, si sa, non fanno la storia ma esistono. La scomparsa di Moussa Sadr, l’imam acclamato da circa due milioni di fedeli, deve essere annoverata a pieno titolo tra i delitti politici eccellenti del ‘900. Se Gheddafi non avesse ordinato la sua uccisione, forse la recente storia del Mediterraneo avrebbe avuto un altro corso.