Nell'anno più difficile per il flusso di profughi, il Comitato olimpico internazionale decide di stanziare 2 milioni di dollari per permettere agli atleti senza un paese di riferimento di partecipare ai giochi. Era già successo in altre occasioni, ma mai in modo sistematico
Una nazionale olimpica per chi non ha più un Paese da rappresentare: per la prima volta ai Giochi di Rio de Janeiro 2016 saranno ammessi anche i rifugiati politici, fino ad oggi esclusi in quanto non appartenenti a nessuno Stato. La svolta storica è stata votata dal Comitato Olimpico Internazionale nella stessa riunione che ha approvato la tradizionale “tregua olimpica”. Ma molto più significativa e concreta è la risoluzione che permetterà ai profughi di partecipare ai Giochi.
A tal fine, infatti, il Cio ha stanziato un fondo di 2 milioni di dollari, e previsto il loro alloggio all’interno del Villaggio olimpico, al pari di tutti gli altri 11mila atleti che andranno in Brasile. “Non hanno una nazionale da rappresentare, non hanno una bandiera dietro cui sfilare, non hanno un inno da ascoltare. Per questo abbiamo deciso di accoglierli sotto la bandiera e l’inno delle Olimpiadi, che appartiene a tutti”, ha dichiarato Thomas Bach, presidente del Cio, davanti all’assemblea delle Nazioni Unite.
L’annuncio arriva nell’anno record di sbarchi di profughi richiedenti asilo in vari Paesi d’Europa e del mondo: nel 2015 dovrebbero essere almeno 650mila. Molti di loro sono arrivati proprio in Italia, e anche il nostro Paese avrà un ruolo nella loro partecipazione ai Giochi: saranno gli Stati d’accoglienza, infatti, a dover aiutare il Cio ad individuare gli sportivi di maggior talento. Le porte delle Olimpiadi, ovviamente, non saranno aperte a tutti in maniera indiscriminata, ma solo agli atleti qualificati e in grado di competere a livello internazionale. Così “vogliamo portare speranza ai profughi attraverso lo sport, in omaggio allo spirito olimpico in cui tutte le persone sono uguali, a prescindere da razza, sesso, status sociale, cultura, religione”, ha spiegato il numero uno dello sport mondiale.
Non è la prima volta che il Cio concede la propria bandiera ad atleti senza nazionale. Era successo ad esempio ai Giochi di Barcellona 1992: la Jugoslavia era stata esclusa come effetto delle sanzioni votate dall’Onu, e il Comitato olimpico decise di concedere dei pass individuali ad alcuni atleti jugoslavi; tre di loro (Sekaric, Binder e Pletikosic) arrivarono addirittura a medaglia (un argento e due bronzi) nel tiro a segno. A Londra 2012 gli “atleti olimpici indipendenti” erano quattro, tra cui Guor Marial, maratoneta dell’appena nato Sud Sudan, che aveva rifiutato di correre per il suo ex Stato centrale del Sudan: alla fine il Cio gli ha concesso di gareggiare da autonomo, e lui si è piazzato 47esimo. Stessa chance data agli atleti delle ex Antille Olandesi, dipendenza dei Paesi Bassi sciolta nel 2010. Ma si era sempre trattato di misure eccezionali. D’ora in poi almeno alle Olimpiadi non ci saranno esuli. Ai nastri di partenza dei Giochi di Rio 2016 ci saranno 206 nazionali affiliate al Cio. Più una, per tutti quelli che non hanno più una patria.