Da giorni non si fa che parlare di questo: l’Oms, tramite la propria Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, ha pubblicato un rapporto in cui le carni lavorate vengono ritenute cancerogene e inserite nel gruppo 1, quello delle sostanze che causano il cancro a pericolosità più alta, come il fumo e l’amianto. La notizia ha scatenato un putiferio in Italia dato che tra i prodotti cancerogeni vi sono anche i famosi prosciutti e salumi italiani.
Piovono, quindi, da ogni parte commenti di segno opposto: positivi quelli di chi, anche nel nostro Paese, da lungo tempo si batte per la fine totale o per la riduzione del consumo di carne; totalmente negativi quelli dell’industria alimentare e della politica italiane. In effetti lo studio dell’Oms, per un paese come l’Italia, che ha costruito un impero economico sulla produzione industriale di carni lavorate, è un bel problema. Anche se non sarà facile separare l’italiano medio dal suo quotidiano panino con prosciutto o salame, si possono intravedere conseguenze anche pesanti per le tasche di qualcuno.
Tra le prime risposte che l’industria della carne italiana ha dato al rapporto dell’Oms è che i prodotti italiani sono ‘diversi’. Più sani e di maggiore qualità – dicono. Queste affermazioni lasciano non poco perplessi. Come possono esserlo se sono in stragrandissima maggioranza prodotti realizzati da animali vissuti in allevamenti intensivi uguali a quelli degli altri Paesi europei? E dire che un allevamento intensivo è sano e di qualità è cosa abbastanza azzardata. Si tratta di luoghi chiusi in cui gli animali vengono ammassati a centinaia e più spesso a migliaia, costretti a vivere nei propri stessi escrementi e sottoposti in massa a trattamenti antibiotici perché altrimenti morirebbero per le condizioni in cui sono costretti a vivere. Per questo uso spropositato di antibiotici sugli animali – ricordiamo che in Italia il 71% degli antibiotici venduti è destinato agli animali (dati Ema) – gli allevamenti intensivi sono dei veri e propri bacini di produzione di batteri antibiotico-resistenti, che minacciano anche la salute pubblica. E sappiamo che quello dell’antibiotico-resistenza è un gravissimo problema, come sottolinea la stessa Oms.
Che dire poi dell’inquinamento causato dagli allevamenti intensivi? Tutta la pianura padana, perdonatemi la franchezza, è una immensa latrina dove vengono sversate le deiezioni di milioni e milioni di animali, a cominciare da quelle dei suini. Non è inquietante pensare che ogni giorno in Italia solo gli allevamenti di suini producono 52mila tonnellate di letame? Preoccupa il fatto che il governo voglia chiedere in sede europea di rivedere le zone vulnerabili della direttiva europea sui nitrati, per la protezione delle acque.
Per quanto riguarda in particolare i suini, poi, gli allevamenti italiani, come quelli di gran parte dei paesi della Ue, non sono conformi alla normativa europea a tutela di questi animali. Nemmeno in Italia viene infatti fornito ai maiali l’adeguato arricchimento ambientale previsto per legge (paglia e materiali simili) e gli animali vengono sistematicamente sottoposti a mutilazioni dolorose, come il mozzamento della coda (senza anestesia). Come Ciwf abbiamo documentato già nel 2013 le condizioni terribili dei suini negli allevamenti italiani e recentemente il programma televisivo Announo ha fatto altrettanto. E’ veramente da chiedersi se questa possa essere chiamata qualità ed eccellenza italiana.
Ma veniamo alle quantità di consumo delle carni lavorate, nodo cruciale. Anche qui, è proprio solo il sistema intensivo di produzione di tutte le carni a rendere possibile una produzione così massiccia e livelli di consumo elevati. Se le quantità prodotte non fossero spropositate e i prezzi di conseguenza bassissimi anche gli effetti sulla salute sarebbero minori. Un etto di prosciutto industriale, tra offerte e promozioni varie, costa oramai meno di molte verdure, per non parlare del prezzo stracciato di una fettina di pollo. Un dato che si commenta da sé.
Come Compassion In World Farming sono anni che, sulla base di studi scientifici precedenti, abbiamo messo in guardia su come il sovraconsumo di carni derivanti da zootecnia intensiva portino a obesità, diabete e malattie cardiache, oltre appunto a causare alcuni tipi di cancro. E che allo stesso tempo gli animali non allevati intensivamente producono cibo più nutritivo. Solo per fare un esempio riguardante la carne suina (ma la cosa potrebbe essere estesa ad altre carni): rispetto ai prodotti industriali, la carne di maiali allevati all’aperto ha il 40% di omega 3 in più e in media il 60% di vitamina E in più.
E così il rapporto dell’Oms è un’occasione mancata per l’industria italiana, che, invece di fare una riflessione e cercare di migliorare, continua a cercare di disinformare. Dico “continua” perché è un po’ che presunti ‘esperti’ e sedicenti piattaforme dal nome molto allettante (ma in realtà abilmente pilotate da associazioni di categoria della grande industria) ripetono in tutti i possibili modi che il modello di produzione italiano è quello da seguire, che il consumo di carne prodotta secondo tale modello è sostenibile, che in Italia il benessere animale è rispettato e altre favole del genere.
Va detto a chiare lettere e una volta per tutte: l’allevamento intensivo non è né potrà mai essere sostenibile né garantire il benessere degli animali, indipendentemente dal Paese in cui è praticato.
Una volta un produttore tedesco disse in una conferenza a Bruxelles: “Siamo arrivati al punto che non possiamo più fare vedere come alleviamo i nostri animali”. Sarà per questo che proprio di recente il Ministero dell’Agricoltura di Berlino, paese peraltro con la maggior produzione di carne suina in Europa, ha pubblicato un documento con alcune importanti riflessioni sulla strada per rendere la moderna zootecnia socialmente accettabile. Strada che non può assolutamente prescindere da alcuni fondamentali passi per allontanarsi dall’intensificazione dell’allevamento e dal mancato rispetto del benessere animale che vi si pratica ogni giorno.
È, questo, un primo step basato su una più onesta valutazione della situazione che auspicheremmo anche in Italia, dove, invece, vediamo purtroppo solo fumo negli occhi della gente e disinformazione. Che non si ferma nemmeno davanti al parere della scienza, come nel caso del parere dell’Oms. E, purtroppo, davanti alla salute dei cittadini.