La Guardia di Finanza ha perquisito quattro manager della holding di investimenti e partecipazioni di Hong Kong, rappresentata in Italia dal sedicente duca Rodolfo Varano di Camerino
A quasi un anno dal fatto contestato, il Nucleo di polizia valutaria di Roma della Guardia di Finanza, su ordine della Procura della capitale, ha perquisito quattro manager della Nit Holdings Limited H.K. I perquisiti sono indagati per manipolazione del mercato e calunnia. La prima ipotesi di reato si riferisce alla diffusione, il 3 novembre 2014, di “notizie false e concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni di Banca Monte dei Paschi di Siena“.
Dodici mesi fa la holding di investimenti e partecipazioni di Hong Kong, rappresentata in Italia dal sedicente duca Rodolfo Varano di Camerino, aveva fatto sapere di aver messo sul piatto “dieci miliardi di euro di investimento per la ristrutturazione completa del capitale” della banca senese. L’offerta indirizzata al consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi dal managing director di Nit Holding Limited, Perry N.Hammer, tramite lo studio legale Capecchi, secondo quanto dichiarato all’epoca era stata contemporaneamente notificata anche alla Bce e alla Banca d’Italia, in vista del consiglio di amministrazione previsto per mercoledì 5 novembre per varare la ricapitalizzazione dell’istituto da 2,1 miliardi annunciata pochi giorni prima. “L’offerta, risultata all’esito degli accertamenti del tutto inconsistente e priva di qualsiasi fondamento economico – rilevano i finanzieri – aveva avuto sin da subito una vasta eco mediatica, sia a causa dell’importo offerto, sia perché si prefiggeva di acquisire una rilevante partecipazione di controllo nel capitale sociale della Banca, determinando pertanto consistenti ed anomale oscillazioni del titolo quotato”.
Il nome di Nit, così come quello del suo avvocato, poi, non era nuovo sulla scena finanziaria italiana. Tanto meno lo era per il Monte dei Paschi, che era anche azionista di peso della Banca Popolare di Spoleto. Era stato proprio Capecchi, il 16 giugno 2014, a interrompere l’assemblea dell’istituto umbro commissariato dal 2013 e in procinto di varare una ricapitalizzazione da 139 milioni di euro a carico del Banco Desio e della Brianza per riportare i valori patrimoniali della banca sopra la soglia di vigilanza e già autorizzata dagli organi competenti. La proposta, già rigettata dai commissari della popolare Umbra era stata respinta anche perché, riferiva ai soci il Commissario Gianluca Brancadoro, lui e i suoi colleghi avevano ritenuto la “documentazione attinente alla capacità finanziaria inattendibile, anzi fu anche segnalata alla Procura della Repubblica qualche perplessità nutrita dagli stessi circa la documentazione e la serietà dell’offerta”. Infine “allo stato attuale, alla luce dei non brillanti trascorsi dei due offerenti, stante anche un’iniziativa della Procura della Repubblica nei confronti di NIT Holdings Italia S.r.l. relativa all’effettività del capitale sociale, si è risposto all’offerta pervenuta venerdì sera, rigettandola”.
Ed è a quest’altro capitolo della storia italiana di Nit che si riferisce la seconda ipotesi di reato, la calunnia. Proprio con riferimento all’offerta per la Spoleto gli investigatori sottolineano che “è emerso come il Gruppo Nit avesse fortemente caldeggiato la presentazione di svariate denunce da parte degli azionisti della Banca nei confronti dei Commissari e della Banca d’Italia. Sulla base di tali fatti si è avviata pertanto una attività di indagine anche riferita al delitto di calunnia”. In dettaglio sono due i manager indagati per calunnia con l’accusa di avere “incolpato funzionari della Banca d’Italia, pur essendo pienamente consapevoli dell’infondatezza dell’ addebito”.