Politica

Roma, i diritti di Marino e i doveri del Pd

Il rifiuto di Ignazio Marino di rispettare i codici della politica ha parecchio a che fare con la psicologia. Ma indagare la psiche del sindaco di Roma, che lascia e poi rimette la fascia di primo cittadino, è un esercizio prima che difficile, inutile. Restiamo ai fatti. Due settimane fa il sindaco è stato licenziato per via degli scontrini, dell’uso allegro della carta di credito di proprietà del Campidoglio. Licenziamento in tronco. Il Pd, che aveva sostenuto la sua elezione, ritirava l’appoggio sull’altare di una rinnovata questione morale. Per piccola che fosse la vicenda degli scontrini mostrava un uso disonesto delle casse pubbliche, quindi Marino era colpevole e doveva andarsene in un lampo. “E’ finita” disse con un malcelato sollievo il sempre loquace assessore ai Trasporti Stefano Esposito, inviato dal Nazareno al Campidoglio nelle funzioni di guastatore. Infatti dopo poche ore Marino prese atto e si dimise.

In realtà il Pd non aspettava altro per disfarsi di un sindaco continuamente in affanno, ritenuto incapace e persino ostile al partito che lo ha lanciato in politica. Un marziano, una scheggia impazzita, un pazzo furioso: così dicono di lui.

Con il passare dei giorni la notizia certa, l’uso illegale della carta, si è fatta incerta. E altri, a proposito di scontrini, sono stati chiamati a dar conto. Per esempio il premier Matteo Renzi che, nel quinquennio di presidenza della Provincia di Firenze spese – per rappresentare al meglio la sua provincia in Italia e nel mondo – circa un milione di euro. Quattrocentomila in pernottamenti e viaggi, seicentomila in ristoranti. Anche in questa vicenda non c’è reato, tutto a norma di legge. Però c’è il senso della misura, dell’opportunità, della sobrietà a essere defraudato e vilipeso, anzi oltraggiato.

Dunque gli scontrini non hanno funzionato come avrebbero dovuto. E perciò Marino ha preso coraggio e ritirato le dimissioni, sfidando il suo partito ad assumersi la responsabilità della propria cacciata.

Come dargli torto? Perchè avrebbe dovuto accettare di essere fatto fuori con una pedata? Di essere chiamato ladro mentre le tante facce sporche sono a piede libero? Le responsabilità del sindaco sono infinite, ed evidente la sua incapacità di governo, la presunzione che ha mostrato ogni giorno, la continua sottovalutazione dei problemi, la scarsa connessione con la comunità che amministra e vede ogni giorno scadere la qualità della vita quotidiana, la continua riduzione dei servizi essenziali. Tutto vero. A cui Marino probabilmente ribatterà con la condizione barbarica in cui ha trovato la città, la montagna di debiti, la fila di questuanti e corrotti che lo accerchiavano. Ma se il suo partito decide di non concedergli un minuto in più e richiamare i romani al voto per manifesta incapacità di colui per il quale ha chiesto per l’appunto i voti appena due anni fa, allora deve motivare una scelta così grave nel luogo deputato: il consiglio comunale. Marino ha diritto di vedersi sfiduciato e il Pd ha il dovere di non nascondersi, di non fuggire. Deve alzare la mano e spiegare i motivi che rendono improrogabile lo sfratto. Parlare alla città, forse anche scusarsi e infine alzare i tacchi e andare a casa.