Il giorno dopo la nomina del successore di Alessandro Profumo, il faccendiere si raccomandò con Mercuri: "E' un brav'uomo, non parla inglese, bisogna fargli un progettino"
Roberto Mercuri, assistente del vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona, è stato il suggeritore delle strategie del numero uno della banca Federico Ghizzoni? Dalla risposta a questa domanda dipende la sorte del vertice di Unicredit. E se la risposta fosse positiva spiegherebbe l’imbarazzo della banca milanese: dall’8 ottobre fa finta di niente pur avendo il vicepresidente e il suo braccio destro indagati per associazione a delinquere, con l’accusa, in particolare per il secondo, di aver spadroneggiato al 30° piano del grattacielo di Unicredit, dove disponeva di un ufficio pur non avendo alcun rapporto formale con la banca.
Facciamo un passo indietro. È il primo ottobre 2010. Il giorno prima il cda di Unicredit ha scelto a sorpresa Federico Ghizzoni per la successione dell’amministratore delegato Alessandro Profumo, silurato dieci giorni prima. Luigi Bisignani, che per settimane aveva trafficato con gli amici Fabrizio Palenzona (vicepresidente Unicredit) e Enrico Tommaso Cucchiani (consigliere d’amministrazione) prima per far fuori Profumo e poi per eliminare dalla corsa concorrenti sgraditi, commenta al telefono con l’amico e socio Vittorio Farina la nomina di Ghizzoni. Così riferiscono gli investigatori: “Bisignani dice a Farina che gli aveva detto il suo barbetta (presumibilmente Cucchiani, ndr) che l’impressione era devastante, in quanto non parlava bene neanche l’inglese, e dallo stesso Bisignani il soggetto viene definito ‘un brav’uomo, un capo filiale, un capo centro nord’.
Poi Bisignani dice a Farina che a questa persona gli aveva detto che bisognava costruirlo, per cui si doveva costruire bene, altrimenti tempo quattro mesi si andava tutti a casa. Inoltre Bisignani dice a Farina di aver parlato con Roby (presumibilmente Mercuri, ndr) a cui aveva detto che a quello bisognava fargli ‘un progettino vero’. (…) Bisignani dice a Farina che a questo bisognava fargli una cosa fatta bene, per cui bisognava farlo incontrare con Ferruccio, con Paolo, cioè con gente che capiva il sistema”. Bisignani è sconsolato. Telefona all’ambasciatore libico Hafed Gaddur (la Libia è azionista Unicredit): “Stanno mettendo uno veramente di nessuno spessore”.
Bisignani parla come se sentisse il dovere morale da fare un po’ da tutore e un po’ da istitutore a Ghizzoni, e i suoi punti di riferimento operativi sono Palenzona e Mercuri. Lo stretto collegamento tra Bisignani e Palenzona emerge da una telefonata del 21 settembre 2010, il giorno della cacciata di Profumo. Bisignani è al telefono con Mercuri e gli inquirenti intercettano una voce in sottofondo: “L’unico amico che ho io è Bisignani e Geronzi, invece, mi fa la guerra. Porca puttana, io so’ contento di avere amico Bisignani, ricordatelo. È un onore per me”.
La replica di Bisignani è soddisfatta: “Vai Fabrizio!”. In quei giorni i candidati alla successione sono numerosi. Circolano i nomi di Andrea Orcel, Matteo Arpe, Claudio Costamagna (oggi presidente di Cassa Depositi e Prestiti), del braccio destro di Profumo, Roberto Nicastro. Il nome di Ghizzoni non emerge mai. Bisignani chiede a Costamagna notizie su Orcel, deduce che è troppo vicino all’allora governatore della Banca d’Italia Mario Draghi (oltre che a Profumo) e fa saltare la sua candidatura. Chiama l’amico Cucchiani e fa la constatazione di decesso: “Già morto”.
Ghizzoni emerge dunque come soluzione al ribasso dopo che per dieci giorni i veti incrociati hanno bruciato la candidature più forti. Diviene amministratore delegato scavalcando colleghi più avanti di lui nella carriera e nella gerarchia, come Nicastro, Roberto Ermotti, Paolo Fiorentino. Nicastro ha lasciato Unicredit l’estate scorsa, dopo una convivenza burrascosa con Ghizzoni, Ermotti se ne andò quasi subito, Fiorentino è ancora lì, vicedirettore generale considerato il vero uomo forte della banca. Adesso Ghizzoni ha il duro compito di convincere gli azionisti che si può uscire dai pasticci sacrificando i due manager indagati (Massimiliano Fossati e Alessandro Cataldo) e salvando Palenzona, il potente a cui deve tutto, indagato con dirigenti che avrebbero commesso reati per obbedire agli ordini suoi e di Mercuri.
Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 28 ottobre