Mancano pochi giorni alla chiusura, è tempo di bilanci. Cosa rimarrà del baraccone Exponenziale? Della Grande Abbuffata globale?
Ci sono ritornata per mettermi in fila quattro ore e mezza e spalancare gli occhi davanti a quelle meraviglie promesse del Padiglione Giappone. Macché, mi sono presentata con il tesserino giornalisti (che altrove mi ha concesso almeno di ridurre i tempi di attesa), ma il rigidissimo servizio d’ordine mi ha rimbalzato. Provo a telefonare all’ufficio stampa, cerco di infilare una sciarpa sotto il pullover della mia amica Benedetta Setti: è incinta, spiego. Ok, per donne incinte e anziane, solo due ore e mezza di fila. Troppe.
Intanto vedo una giapponesina che con fare reverenziale lascia entrare per la corsia preferenziale la delegazione della Repubblica di San Marino. Faccio l’occhiolino a Benedetta e ci proviamo: “Pardon, siamo con loro”. Mi guarda perplessa ma alla fine ci lascia passare. Tiè.
Una volta dentro, che delusione. Sembra una prova generale un po’ kitsch di karaoke, ci spiegano, nientemeno, come usare i bastoncini (nessuno deve avergli detto che a Milano ci sono più di 300 ristoranti giapponesi!). Poi finalmente si entra nella Grande Sala apparecchiata. La mia amica, sgomenta, mi ricorda che siamo delle imbucate, non ci hanno contato, adesso ci prendono per un orecchio e ci cacciano…”. Tranquilla, è tutto virtuale. E così ci attovagliamo con la sola differenza che al posto del piatto c’è un display con portate di sushi e sahimi, tutte virtuali. Mentre due chef, con abiti da Star Trek, ci invitano a far finta di portare alla bocca un pezzo di salmone.
Esco e sento un loro addetto che con fiero spirito nazionalista/giap informa che la fila è salita a cinque ore. Resisto all’impulso di strappargli il megafono di mano e urlare ai malcapitati della fila: “Andate altrove, a mangiare un cannolo vero di ricotta, a farvi un giro sotto l’Albero della Vita… Ma scappate da questa buffonata!”.
Varco la soglia di Eataly, tanto lo so già, e mi sembra di entrare in un supermercato, ravioli imbustati, tacchini, wurstel e scatolette di carne. Tutti prodotti mass market, di largo, larghissimo consumo che di certo non rappresentano l’eccellenza italiana come Farinetti, prendendo tutti per i fondelli, ci aveva promesso. Il bello è che di questi prodotti nei suoi negozi, da New York a Dubai, non c’è traccia. A un certo punto Raffaele Cantone, commissario dell’Autorità contro la Corruzione, ha avviato qualche indagine. E se proprio vogliamo dircela tutta, quel gentiluomo di Farinetti quando, il giorno dell’inaugurazione, gli feci notare che di un appalto pubblico, aggiudicatosi senza gara d’appalto, ne aveva fatto una macelleria di markettume mi mandò a c…re…”
Vuoi mettere invece il garbo della ragazze che ti accolgono con inchino a mani congiunte e sorriso del dirimpettaio Padiglione della Corea del Sud: due ore di attesa e oltre due milioni di visitatori. Il suo concept è quello più attinente al tema, semplice, diretto: Siamo quello che mangiamo. Ma come mangiarlo in maniera sostenibile? E ce lo spiegano in maniera ipertecnologica. Con visioni di cibi-arte- in proiezioni cibernetiche tridimensionali. In uscita una galleria di foto sono la testimonianza del miracolo economico della Tigre del Sud Est asiatico dal 1953, anno della divisione del paese al 38esimo parallelo.
Molto scettico rimane l’architetto Fabio Rotella che a Pechino sta progettando una “Sound Square”: “A Parigi, Expo ha lasciato la Tour Eiffel, a Londra il Cristal Palace (che poi sfortunatamente andò in fumo). Quando Expo, si diceva “Esposizione Universale”, ed era un modo per esplorare la crescita dell’umanità nei termini della ricerca e dei temi cari all’essere umano… Expo di Milano? Il tema era interessante, ma non mi sembra che siano state fatte proposte per migliorare la situazione della fame nel mondo. A Milano cosa resta? Quale miglioramento per i cittadini? Quali soluzioni? Expo/Disney/land ha partorito un topolino, una fiera paesana sul cibo, “commerciale”, decine e decine di ristoranti, street food, tante presenze a fare ore di fila e pagare cifre spropositate per masticare qualcosa. L’Italia, culla della creatività, ancora una volta preda delle scelte politiche fatte a tavolino…”.
Peccato, un’occasione persa. Ma a pancia piena… E con tutti gli occhi del mondo puntati su di noi.
Twitter: @januariapiromal