Le testimonianze dei lettori della rivista italo-francese Radici raccontano le impressioni degli stranieri che hanno visto l'esposizione universale. La maggior parte lamenta il poco approfondimento sul ruolo del cibo e sull'esigenza di non sprecarlo. Il mondo in pochi chilometri quadrati ha però fornito spunti per una prossima vacanza in famiglia: "Ma era quello lo scopo?"
Poca analisi, poco tempo per vedere tutti i padiglioni in un giorno, ma anche un’esperienza “cosmopolita, friendly e calorosa”. E una nota stonata su tutto: il padiglione del Vaticano (“Che cosa c’entra?”). Per capire meglio l’Expo 2015 abbiamo voluto raccogliere il parere dei visitatori stranieri. In particolare le testimonianze dei lettori della rivista italo-francese Radici parlano di un deficit di analisi sul ruolo del cibo e sull’esigenza, peraltro essenziale, di non sprecarlo. Il campione, sicuramente non rappresentativo dei tanti stranieri che hanno passeggiato per l’Esposizione universale in questi mesi, può servire a dare un’idea delle impressioni generali.
Chi è venuto in viaggio a Expo pensa che ci siano stati pochi momenti divulgativi e comunque non abbastanza facili da reperire nella marea di vetrine proposte sul decumano. Chi era interessato al tema dell’Expo: “Nutrire il pianeta – Energia per la vita”, è rimasto, è il caso di dire, “a stomaco vuoto” o con una grande fame d’informazione. Mentre chi era interessato all’altro aspetto più vacanziero ed effimero del viaggio in Paesi lontani, ha certamente trovato pane per i suoi denti. Del resto la prospettiva di avere un mondo in pochi chilometri quadrati ha sicuramente fornito materia per una prossima vacanza in famiglia.
Ma era veramente questo lo scopo? A parte le critiche più o meno legittime, l’Expo con gli occhi degli stranieri appare più interessante, nonostante gli scandali che l’hanno accompagnato e che hanno raffreddato l’animo di molti italiani. Il pubblico venuto dai quattro angoli della terra si è rivelato il vero cuore battente dell’Expo 2015, e non solo visto che la vera vincitrice è stata la città stessa di Milano. Questo è stato un primo aspetto positivo, peraltro facilmente prevedibile.
Per Thierry, impiegato 40 anni, che ha fatto il viaggio da Parigi, “farsi un’idea di tutta l’Expo avrebbe richiesto almeno una settimana. Senza contare che con un ingresso pagante a 35 euro la cosa si rivela impossibile, se lo si vuole fare su più giorni”. Nella globalità l’esposizione lo ha convinto.
“È una meraviglia”, dichiara d’amblé Françoise di Parigi, 50 anni. “È un’esperienza incredibile quella di poter scoprire la fisionomia di così tanti Paesi, altrimenti impossibile senza l’Expo”. Il sito infatti ha riunito quasi 130 nazioni. “Incredibile sentir parlare così tante lingue e veder vivere insieme comunità che fuori da questo spazio si farebbero la guerra”, ha spiegato Mathilde, professoressa di 38 anni in un liceo di Lione. “Un Expo cosmopolita, friendly e calorosa!”.
Per l’insieme delle persone intervistate, non ci sono dubbi sulle qualità estetiche dei padiglioni di cui alcuni veramente riusciti. Le cose si complicano sul messaggio di fondo, annunciato e promesso. Lì le critiche sono severe e frequenti. Per un gruppo di studenti venuti in pullman da Aix en Provence, “le strutture dei padiglioni sono interessanti e belle, ma l’Expo sembra spoglia riguardo al suo nobile obiettivo.
Per molti invece si è svelato per quello che è realmente: “Un’eccellente trovata pubblicitaria, dove alla fine si impara poca cosa”, è il parere di Solange. La conferma viene anche da Pierre, insegnate di 49 anni, per chi “pochi padiglioni trattano realmente il tema scelto e si servono di quest’occasione come una vetrina pubblicitaria e turistica del loro Paese. Alcuni come quello dell’Oman propongono addirittura anche i prezzi dei voli aerei e degli hotel”. Jean-François, 56 anni, rincara la dose: “Ho trovato contraddittorio che delle multinazionali come Mc Donalds e Coca Cola e altre ancora siano rappresentate all’Expo, quando sappiamo che non rispettano le regole di sostenibilità, di rispetto dell’energia e riduzione dello spreco alimentare”.
Stesso sentimento per Delphine di Toulouse che si sofferma sull’organizzazione dello spazio: “Troppo grande, non a misura d’uomo. E poi questa non concertazione tra i vari Paesi che mi ha dato l’impressione che ogni padiglione, a parte le immagini differenti di ciascuno, somiglia a quello visitato in precedenza. Alla fine buona parte dei padiglioni si sono dimostrati dei veri e propri gusci vuoti. Una quasi totale mancanza di volontà di rimettere in discussione la nostra società di consumo, le colture estensive”. Gli faccio mancare che non sono mancate le conferenze: “Sarà pur vero, ma come individuarle per chi visita l’Expo nell’arco di una giornata o al massimo due?”. Una volta passati i cancelli i visitatori si sono trovati soli con se stessi e l’immensità di una distesa che non sembra mai finire non aiutava certo nella scelta.
E poi la sorpresa per la presenza del padiglione Vaticano. Sarà che i figli di Cartesio sono anche figli della laicità, ma la presenza della Chiesa cattolica ha suscitato in molti qualche perplessità. “Che cosa ci fa il Vaticano in un’Esposizione Universale?” è stata la reazione di molti. E a questo punto sorge spontanea in alcuni un’altra domanda: “Non è che molti Paesi hanno confuso l’evento con un Salone del Turismo?”. Alla fine l’Expo dovrebbe essere portatore di valori in sé, ed è quello che si aspettavano in molti. Al punto che è la stessa Delphine a dire: “In fondo se non ci fossi stata non mi sarei persa granché”.
Arnauld, 28 anni giovane imprenditore parigino, è più benevolo. Per lui l’Expo “ha dato soprattutto una buona immagine di Milano che ha molto comunicato negli ultimi mesi su un avvenimento annunciato come grandioso”. Qualche critica sui tempi di visita che si sono rivelati la grande delusione per molti: “Com’è possibile fare quattro ore di fila per visitare il padiglione italiano e cinque per quello giapponese?”.
Non sono mancati i padiglioni istruttivi come quello dell’Azerbaijan per Danièle, mentre Jean-François ha preferito di gran lunga la Corea e le sue proposte sulla conservazione e la fermentazione degli alimenti. Marie Christine è rimasta impressionata “dalle nuove tecniche di irrigazione proposte da Israele”. Mentre Geneviève e Jean-Paul Moalic che hanno fatto il viaggio in famiglia dalla lontana Bretagna sono rimasti colpiti “nel costatare come i Paesi poveri che conoscono il valore di una goccia d’acqua, fanno di tutto per non sprecare niente”.
Ecco forse questa potrebbe essere, alla fine, una buona conclusione e una speranza. Che l’Expo 2015 possa aver fatto prendere coscienza sul nostro impegno a non sprecare le risorse. Un nuovo comportamento che farebbe cambiare di molto le prospettive di un pianeta in cui ogni anno vengono buttate 1,3 miliardi di tonnellate di derrate alimentari. 32 kg di media all’anno per ogni abitante italiano. Senza parlare del costo che questo provoca sull’ambiente, stimato a non meno di 700 miliardi di dollari secondo l’Istituto TNS Sofres. Chissà che non siano queste, alla fine, le vere cifre di cui bisogna urgentemente tenere conto.