Da ieri Telecom Italia è ufficialmente campo di battaglia per scorrerie speculative internazionali. Xavier Niel, 48 enne imprenditore francese del settore web e media – una specie di Renato Soru di successo – ha comunicato alla Consob di avere in mano contratti a termine per l’acquisto, in un paio d’anni, dell’11 per cento delle azioni. La notizia ha fatto fare ieri un balzo dell’8,70 per cento al titolo Telecom, a quota 1,26 euro, livello mai visto da sette anni. Due anni fa il prezzo era sceso sotto i 50 centesimi. Qualcuno doveva sapere qualcosa, visto che nei cinque giorni precedenti il titolo Telecom era già salito del 12 per cento.
Merci @Xavier75 de mobiliser toutes les énergies pour la #FrenchTech pic.twitter.com/RgqHDqA76I
— François Hollande (@fhollande) 13 Marzo 2015
Niel ha investito 1,7 miliardi di euro. La sua quota potenziale, sommata al 20 per cento già in mano alla Vivendi di Vincent Bollorè, fa salire al 31 per cento la frazione del capitale Telecom in mani francesi.
I vertici del gruppo telefonico e la Vivendi hanno manifestato sorpresa. La Consob ha acceso un faro, come suol dirsi. Se si dimostrasse un collegamento tra Bollorè e Niel, la quota di controllo congiunto del 31 per cento farebbe scattare l’obbligo di Opa, l’offerta pubblica di acquisto per tutti gli azionisti allo stesso prezzo pagato da Niel.
Telecom è dunque l’ennesimo gioiello (o presunto tale) dell’industria italiana a finire in mani straniere? A 15 anni dalla scalata della “rude razza padana” di Roberto Colaninno, la rete telefonica nazionale diventa preda della “rude razza francese”? Difficile dirlo. In ogni caso il problema non sarebbe di orgoglio nazionale. Piuttosto preoccupa l’eventuale subordinazione di un’infrastruttura decisiva per la vita non solo economica nazionale ai disegni di Bollorè, al quale è stata attribuita l’idea di creare un gigante sud-europeo di telecomunicazioni e media unendo Vivendi (grande produttore di contenuti di informazione e tv) a Telecom Italia e alla spagnola Telefonica.
Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato, recrimina sulla renitenza della Cassa depositi e prestiti, protagonista per anni di polemiche e trattative inconcludenti con Telecom Italia. La grande banca pubblica – che in questi giorni investe un miliardo di euro nella Saipem per risolvere un problema finanziario all’Eni – avrebbe potuto stabilizzare l’azionariato di Telecom: “Certamente sì, quando nel 2013 è stato posto il problema di fronte al possibile cambio del controllo non fummo ascoltati e adesso, di fatto, è diventata francese”.
Intanto, se la Consob accende un faro, la Cgil chiede al governo “un tavolo”, e palazzo Chigi fa sapere che “il dossier è seguito con attenzione”, per non far mancare niente alla sagra del luogo comune. In realtà dietro l’ovvia impossibilità di intervenire, trattandosi di “operazione di mercato”, Matteo Renzi si fa per ora bastare la promessa che Bollorè gli ha fatto lo scorso 6 agosto a palazzo Chigi, cioè di essere azionista di lungo periodo e attento alla difesa dell’indipendenza di Telecom Italia.
Nessuno sa dire se Bollorè e Niel siano d’accordo o in guerra. Il partito della guerra fa notare che ieri il titolo Vivendi è andato male in Borsa, segno di conflitti in arrivo.
Il partito dell’amore segnala invece che la compagna di Niel, Delphine Arnault – figlia di Bernard, cosiddetto re del lusso alla testa del gruppo Lvmh – siede nel cda della Havas, gruppo di pubblicità e media di Bollorè con quasi 2 miliardi di euro di fatturato.
il Fatto Quotidiano, 30 ottobre 2015