Tredici lunghissime pagine per dire che, sì, l’aspirante madre adottiva, compagna della madre biologica delle piccola Irene (nome di fantasia), può diventare il secondo genitore. E’ ancora la giudice Melita Cavallo, del Tribunale per i minorenni di Roma, a emettere verdetto, nella sostanza molto simile alla sua precedente sentenza, depositata poco più di un anno fa, con cui, per la prima volta in Italia, veniva legittimata una famiglia omogenitoriale. Le due donne, si legge nella sentenza, sono entrambe professioniste, e stanno insieme da molti anni. Durante la lunga convivenza, e dopo accurate riflessioni approfondite con lo studio della materia, hanno deciso di intraprendere il difficile percorso verso l’omogenitorialità, e così coronare il loro amore e il loro desiderio di diventare una famiglia. La bambina è stata concepita in una clinica all’estero ed è nata in un ospedale italiano.
La richiesta di adozione da parte della madre non biologica ha dato il via a un’esperienza molto impegnativa per la coppia: nell’agosto 2014 il Tribunale fa richiesta al GIL Adozioni di redigere un’approfondita relazione sulla condizione di vita delle due donne, sul loro rapporto con la bambina, sulle figure familiari di supporto e sul suo inserimento a scuola. Ciò che ne emerge, dopo lunghi mesi di indagini e di incontri con una psicologa e una assistente sociale, estesi anche alle maestre della scuola e a tutti i parenti della coppia, è un quadro rassicurante: “La piccola Irene vive in un ambiente solido e affettivamente confortante – si legge tra l’altro – in grado di garantire una crescita armonica adeguata alla sua età. La bambina frequenta oltre ai parenti anche i tanti amici della coppia, la maggior parte dei quali sono famiglie eterosessuali. Le due donne sono in grado di riflettere sulle scelte educative per Irene, di discuterle e di condividerle nell’ottica di costruire per lei un percorso di vita che non le crei difficoltà, ma le fornisca strumenti adeguati a conoscere la sua storia e a farla sentire serena e in equilibrio con se stessa. La tematica delle origini ed il modo di raccontarla alla bambina è un argomento da affrontare con gradualità e le due donne hanno deciso di farsi sostenere da specialisti”.
Non contento, il Collegio decide di incaricare un CTU (consulente tecnico) per approfondire ancora di più la qualità delle relazioni familiari. Con metodologia psicologo-giuridica, dunque, l’aspirante madre viene sottoposta a indagine psico-diagnostica, mentre si avvia un’osservazione metodica delle dinamiche relazionali della coppia omogenitoriale e di quelle triadiche. Il CTU dichiara, tra l’altro: “La aspirante madre appare dotata di un funzionamento psicologico equilibrato ed adatto, frutto di un pensiero integro e di un consistente contenimento razionale che conferisce alla donna una sostanziale stabilità nel comportamento e nelle espressioni affettive e pulsionali, in una personalità sensibile e emotivamente disponibile”. E afferma, concludendo, che “L’adeguatezza genitoriale presuppone la presenza necessaria di funzioni e responsabilità specifiche che non dipendono dall’essere madre-padre, donna-uomo, o addirittura dalla presenza o dal sesso del co-genitore. Nel caso in oggetto l’esame delle competenze genitoriali è positivo e il giudizio clinico è assolutamente favorevole”.
Nel merito, si tratta di un tipo di adozione in “casi particolari”, che può essere proposto anche da persona singola, ai sensi del combinato disposto dell’art. 44 lettera D e dell’art. 7 della medesima L. 184/83 e successive modifiche: “Nessuna limitazione è prevista espressamente, o può derivarsi in via interpretativa, con riferimento all’orientamento sessuale dell’adottante o del genitore dell’adottato, qualora tra essi vi sia un rapporto di convivenza”. Il punto è quindi l’interesse del minore e la tutela delle sue relazioni in essere per garantirgli una continuità affettiva: “Il cuore delle motivazioni di questa straordinaria sentenza – spiega Titti Carrano, legale delle due donne – è multiplo. Da una parte la giudice risponde al parere negativo del PM che contesta la scelta della lettera D dell’art. 44 in quanto la piccola Irene non si trova in stato di abbandono, dicendo che si tratta di una questione già superata dalla giurisprudenza. Infatti la lettera D è stata voluta dal legislatore per dare una cornice giuridica a tutte quelle situazioni in cui non si può procedere all’adozione legittimante, nell’interesse del minore ad avere garantito il diritto alla continuità affettiva con le persone di riferimento. Dall’altra, la presidente Cavallo si rifà alla sentenza della Corte d’Appello di Firenze del 2012 in cui, concedendo la lettera D a coppia eterosessuale non sposata, di fatto venivano parificate le unioni civili – eterosessuali in quel caso – con il matrimonio, per concludere che, appellandosi alla Corte costituzionale, non si può discriminare una coppia sulla base dell’orientamento sessuale”.
Una sentenza ineccepibile, dunque, che tiene conto anche della giurisprudenza della Corte di Strasburgo (le cui indicazioni ogni giudice è obbligato a rispettare): “In ballo – continua Carrano – c’è la più alta giurisprudenza italiana e internazionale. Siamo di fronte a una sentenza inattaccabile dal punto di vista giuridico, completa nelle argomentazioni tecniche e frutto di una approfondita istruttoria, svolta anche con l’ausilio di una Consulenza Tecnica d’Ufficio, la prima fatta in Italia su una coppia omosessuale. La notizia arriva in un momento in cui l’Italia si sta impegnando per fare i conti con la sua storia, per troppo tempo rimasta indietro rispetto alla contemporaneità. Inclusione, uguaglianza, non discriminazione è la battaglia sociale che coinvolge ogni cittadino e cittadina, e che non può essere persa”. Nemmeno in tempi di Sinodo.