La Nuoza Zelanda batte in finale a Londra l'Australia con il punteggio di 34-17. La svolta della squadra nel 2014 con la sconfitta con il Sudafrica: da quel momento per gli atleti sono banditi alcool e feste
La partita più giocata del pianeta (ben 154 precedenti) eppure una finale inedita. Prima contro seconda del ranking mondiale, le due grandi favorite, anche le due nazionali più titolate al mondo. A Twickenham, nel tempio della palla ovale. E il campo non ha deluso le attese: i Mondiali di rugby 2015 sono della Nuova Zelanda, che a Londra ha schiantato 34-17 l’Australia. Ha vinto la squadra più forte. O semplicemente quella che aveva un appuntamento con la storia. Per gli All Blacks è il terzo titolo mondiale, il secondo consecutivo. Come loro nessuno mai.
La finale è anche l’ultima volta in nazionale per la stella Dan Carter, Mealamu, Ma’a Nonu, Conrad Smith, Tony Woodcock, il capitano Richie McCaw. L’addio di una generazione d’oro arrivata alla fine di un ciclo, con l’occasione di diventare leggenda. Per questo al calcio d’inizio hanno negli occhi una ferocia da predestinati. Sempre primi sulla palla, pronti a rubarla, riciclarla, catturarla. Il primo tempo è impressionante. L’Australia non è uno sparring partner qualunque: difende bene, con tenacia e tanta organizzazione in mischia aperta. Anche aiutata da qualche errore di fretta o imprecisione dei rivali. Ma è solo questione di tempo perché l’onda nera abbia il sopravvento: la Nuova Zelanda allunga col mancino infallibile di Carter, poi rompe l’equilibrio prima dell’intervallo con la meta di Milner-Skudder (ovviamente trasformata). Meritatissima, al termine di un’azione avvolgente sintesi di tutto il primo tempo. Si va negli spogliatoi sul punteggio di 16-3 e con un imbarazzante dominio territoriale del 79%.
La ripresa si apre con il capolavoro di Ma’a Nonu al 3’ (meta con slalom travolgente). Quando tutto sembra finito, però, i Wallabies hanno un sussulto di classe e orgoglio: approfittando della superiorità numerica marcano due volte, con Pocock e Kuridrani, risalendo fino a -4. Giusto così: ci vuole anche un po’ di brivido per rendere speciale la terza volta mondiale degli All Blacks. La partita è riaperta, ma Carter dal nulla inventa un drop sublime. Degno congedo dalla scena internazionale di una delle aperture più forti di tutti i tempi. La corsa in contropiede di Barrett metterà il sigillo al punteggio: 34-17, Australia doppiata, Nuova Zelanda campione del mondo per la terza volta.
Un’impresa che nasce da lontano, oltre dieci anni fa. Il 14 agosto 2004 gli All Blacks rimediavano col Sudafrica una delle peggiori sconfitte della loro storia. E al termine della partita la disfatta proseguì anche fuori dal campo, in un festino in cui tanti giocatori persero il controllo al punto da finire al pronto soccorso. L’episodio è stato raccontato nella sua autobiografia da Richie McCaw, oggi capitano della squadra. Dopo quella notte nulla fu più come prima: i giocatori si guardarono negli occhi e decisero di cambiare. Basta alcol, basta follie. “Persone migliori per essere All Blacks migliori” il motto della rivoluzione: prima erano solo talenti straordinari, dopo professionisti veri. Campioni. Così sono diventati imbattibili, o quasi. Quel gruppo è cresciuto anche con le sconfitte: la delusione del 2007 nei quarti di finale con la Francia (peggior risultato di sempre in un Mondiale), è stata la base del trionfo in casa del 2011. Bissato poi nel 2015 in Inghilterra, per entrare definitivamente nella storia. Da oggi questa Nuova Zelanda verrà ricordata come la miglior nazionale di sempre.