Fabio Capello che lo conobbe, sul finire degli anni ’60 ricorda che “giocava all’ala sinistra e aveva corsa, dribbling e un tiro poco potente ma sapeva trascinare gli altri, dentro e fuori dal campo, con la sua personalità”. Gli episodi del Pasolini calciatore sono innumerevoli e in questi giorni ripresi da tantissimi perché ricordo primordiale da lui stesso così sintetizzato: “I pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui Prati di Caprara sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso”. Tifava per il Bologna, quello di Bulgarelli al quale non risparmiò le sue domande, forse indiscrete per il periodo, sulla sessualità. Sicuramente con la sua personalità incuteva un certo imbarazzo nei calciatori e certamente la presenza di intellettuali nei programmi sportivi non era sporadica.
Lo sport era un gesto nobile e questa nobiltà Pasolini la riconobbe non solo al calcio, infatti, nell’arco dei suoi 53 anni di vita si accostò a diverse discipline con abilità e attaccamento diverso. Il salto triplo e il lancio del disco ad esempio lo “ispirarono” nella scelta degli attori di Medea, con Maria Callas. Il bronzo di Messico ’68 Giuseppe Gentile diventa il Giasone, mentre un discobolo, Gianni Brandizzi, farà Ercole.
“Vado spesso a giocare a pallacanestro: sono schiappone, ma mi diverto molto. Lo sport è veramente la mia più pura, spontanea consolazione. Ora ho una voglia frenetica di andare a sciare: sogno le Dolomiti, come una terra alta, sopra le nubi, solatia, risonante di grida e di risa”, scriveva in una lettera del 1941. Il basket era una delle sue passioni universitarie ma fu messa in crisi da Ragazzi di vita, il primo romanzo romano, quando il Riccetto e il Caciotta lo definiscono una “pippa di gioco”. Non è finita, non poteva mancare il ciclismo: “Ora, indubbiamente, nel cielo ciclistico è sorta una nuova stella fissa: Merckx. I giornali italiani non vorranno mica combinarci lo scherzo di non farcela godere!”. La parabola del Cannibale la seguì quasi tutta Pasolini che in un Processo alla Tappa si presta alle domande incalzanti di Vittorio Adorni e usando il gergo ciclistico gli scatta in faccia ricordando le gesta di un corridore degli anni 40, a cavallo della guerra.
Severino Canavesi, era il suo “idolo” perché vinceva poco ed era un tipo controcorrente. Così, secondo me, controcorrente è stato Pasolini, questo Pasolini grandissimo intellettuale che invece di farsi incensare nei salotti preferiva mischiarsi al fango nei campetti di periferia, farsi dare della schiappa per tirare a canestro o essere sfidato dai corridori sulla competenza ciclistica. Luoghi, quelli dello sport, dove la cultura non albergava spesso, furono per lui fonte d’ispirazione e forse furono ispirati da lui. Se a quarant’anni di distanza se ne parla, ecco perché “Pasolini gioca ancora”.