Tre domande dirette, secche, rivolte all’inizio di un colloquio di lavoro, sulla vita privata e familiare della candidata: “Sei sposata? Convivi? Hai figli?”. Tre domande di troppo secondo una ragazza veneta, che davanti all’insistenza di un titolare di un’agenzia immobiliare si è rifiutata di rispondere e per questo è stata congedata, senza troppi complimenti. La storia arriva da Mestre, e a raccontarla è la protagonista stessa, sulla propria pagina Facebook. Un post lungo e dettagliato, alimentato dalla delusione, dalla rabbia e dal desiderio di sensibilizzare a un tema che tocca nel vivo tante persone. In soli tre giorni, infatti, la sua testimonianza ha fatto il giro del web, ottenendo un fiume di commenti e la condivisione di 28mila persone. Più di quanto l’autrice stessa si aspettasse.
“Ho contato fino a diecimila prima di scrivere queste parole – scrive nella premessa – Ma non riesco a non dirle. E le scrivo qui, per una massima diffusione. Perché tutti devono sapere cosa accade al giorno d’oggi”. Lei si chiama Paola Filippini, ha 27 anni ed è una fotografa professionista freelance. È agli inizi, ha diverse collaborazioni ma ancora non riesce a mantenersi con la sola fotografia. Così decide di cercare un “lavoretto saltuario per arrotondare”. Parla diverse lingue e ha alle spalle anni di esperienze nel turismo. Manda quindi il curriculum a un’agenzia immobiliare di Mestre, e si propone come hostess per il check-in, negli affitti turistici.
Dopo qualche settimana viene convocata per un colloquio. L’accoglie il titolare, di cui la ragazza però preferisce non rivelare l’identità per timore di ripercussioni legali. “Mi fa accomodare alla sua scrivania – racconta a ilfattoquotidiano.it – ma non si presenta, non mi dà la mano, non si scusa del ritardo, mi dà del tu”. A quel punto iniziano le domande. Dopo quelle tradizionali sull’età e sulla residenza, il titolare dell’agenzia si spinge oltre: “Sei sposata? Convivi? Hai figli?”. La ragazza non vuole rispondere, fa resistenza e parte un botta e risposta tra i due. “È necessario che io risponda a questa domanda?” Lui: “Sì, è necessario” .“Posso non rispondere?”. “Certo. Allora ti puoi anche accomodare fuori, per me il colloquio finisce qui”.
Lei chiede ancora spiegazioni. “Perché mi sta congedando in questo modo?”. “Perché tu mi devi rispondere alle domande, e se non mi rispondi il colloquio non può proseguire. Devo sapere se sei sposata e se hai figli, perché questo determina la tua disponibilità lavorativa”. La ragazza però non cede. “Mi scusi dottore, ritengo che la mia disponibilità lavorativa esuli dalla mia condizione privata. Se vuole sapere quanto e quando posso lavorare, mi può semplicemente chiedere qual è la mia disponibilità oraria”. Lui, ormai furibondo: “Io chiedo quello che mi pare, e se non vuoi rispondere non posso darti il lavoro. Ora te ne puoi anche andare”.
Così la giovane fotografa viene invitata a uscire. Prima di andarsene però, si rivolge ancora all’uomo che avrebbe dovuto valutarla. “Se a una donna viene chiesto di dichiarare la sua situazione famigliare prima di chiederle quali sono le sue capacità, cosa sa fare e quali sono le sue aspettative lavorative, allora siamo proprio in un mondo di merda. Lei non sa che parlo perfettamente 3 lingue straniere, non sa che questo lavoro l’ho fatto per anni, che ho tanta esperienza e capacità. Lei non me lo ha chiesto. Mi tolga una curiosità, anche ai maschi chiede se hanno figli e se sono sposati quando fa loro un colloquio?”. Lui: “No, ai maschi non lo chiedo. Perché questo è un lavoro che ritengo debbano fare solo le donne”.
Quando torna a casa, la fotografa si mette davanti alla tastiera e decide di rendere pubblica la sua esperienza. Il racconto, postato il 28 ottobre, fa il boom, raccoglie centinaia di messaggi, molti di solidarietà, alcuni critici. “Il mio è stato un gesto di rabbia e di stanchezza -ha spiegato al fattoquotidiano.it – So di non essere né la prima né l’ultima ragazza a cui è capitata un’esperienza del genere. E so anche che, in questo periodo di crisi, molte donne stanno in silenzio per necessità, perché non possono permettersi di rinunciare a uno stipendio. Ma credo che sia comunque importante portare alla luce questi fatti: bisogna dire che domande di quel tipo, fatte durante un colloquio, violano lo statuto dei lavoratori”.