L'avvocato del Senatur chiede al segretario di restituire 40 milioni che sono ancora nelle casse del Carroccio. E dalle carte depositate al tribunale di Genova, dove oggi riparte il processo, emerge che quasi 14 milioni non dovuti sono stati ottenuti dal partito dopo le dimissioni di Bossi
Sale da 40 a 59 milioni il conto della truffa ai danni dello Stato sui rimborsi elettorali per la quale sono a processo a Genova Umberto Bossi e l’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito. Non solo: secondo Repubblica, carte inedite depositate dal Parlamento chiamano in causa anche Roberto Maroni, attuale presidente della Regione Lombardia, e l’attuale segretario del partito Matteo Salvini. E proprio a quest’ultimo, stando ai nuovi documenti, il Senatùr chiede ora di restituire 40 milioni che costituiscono il “corpo del reato” e che sono ancora nelle casse del Carroccio.
Il fatto è, scrive il quotidiano di Largo Fochetti, che una parte dei soldi non dovuti sono stati incassati dal movimento allora guidato da Bossi anche dopo le sue dimissioni per via dello scandalo. Quando gli sono subentrati prima Maroni e poi, nel dicembre 2013, Salvini, che si è anche costituito parte civile. Durante il loro mandato il partito ha ricevuto rispettivamente da Camera e Senato, sulla base di rendiconti falsi, 13 milioni e 820mila euro: nonostante i due leader sapessero della truffa, dunque, hanno continuato a incassarli e spenderli.
I documenti depositati nel processo genovese che riparte oggi rivelano che è proprio a Salvini che Bossi, tramite il suo avvocato Matteo Brigandì, chiede ora la restituzione di quei soldi “presenti nelle vostre casse”. Una richiesta sulla base della quale i giudici dovranno valutare innanzitutto se aver incassato i soldi oggetto di truffa allo Stato costituisca concorso nel reato, e poi se quei denari siano stati spesi. In quel caso potrebbe configurarsi addirittura la ricettazione.