Dopo vent’anni anni di precariato in Italia, di promesse, concorsi, marche da bollo e “colleghi maschi sempre premiati”, Anna Laura Petrucci ha detto basta. Nata ad Ascoli Piceno, nove mesi fa è partita per l’Arabia Saudita e lì ha deciso di fermarsi. Ora, a 47 anni, è direttore del Dipartimento di Architettura alla Dar Al Uloom University, università privata a Riad, la capitale del Paese.

Ci ha provato, Anna Laura, ad adeguarsi al sistema Italia, ma senza successo. La prima offerta dall’estero è arrivata appena dopo la laurea: “Ho passato 5 anni a Berlino come direttore tecnico di cantiere e altrettanti ad Amburgo, dove ho avuto il mio primo incarico di insegnamento”, ricorda. La decisione di spostarsi in Arabia Saudita, quasi 20 anni dopo, arriva da una riflessione più ponderata: “Un lavoro dovrebbe garantirti di vivere la vita che desideri – dice – e questo, per vari motivi non poteva avvenire in Italia”.

In seguito ad un incontro istituzionale arriva la grande possibilità: dopo aver inviato il proprio cv con annessa lettera di presentazione, Anna Laura viene contattata dalla Dar Al Uloom University. Ed è questa la prima grande differenza rispetto al sistema italiano: “Il posto di lavoro dipende completamente dal tuo curriculum, sulla base del quale ricevi una prima offerta contrattabile, fino ad accordarsi sullo stipendio finale”, spiega. Dopo una serie di colloqui basati su esperienze, titoli di studio, Paese di provenienza e competenze, per Anna Laura si aprono le porte dell’università con un contratto a tempo determinato rinnovabile annualmente.

La vita in ateneo è molto diversa rispetto all’Italia. Il modello da seguire è quello statunitense: classi piccole, con un massimo di 25 studenti, monitoraggi continui, piani di studio fortemente mirati e risultati definiti su base strategica. Il salario base con un contratto full time parte da 4mila euro netti al mese, più vari benefit che comprendono casa, contributi per le spese di trasporto, assicurazione sanitaria, volo andata e ritorno per coniuge e figli, scuola per i figli e ferie retribuite per uno o due mesi l’anno.

Nel tempo libero, in più, Anna Laura svolge attività di consulenza sia accademica che professionale. “La mia è ricerca applicata nel campo dell’architettura sostenibile. Un Paese come l’Arabia Saudita, con un boom edilizio e condizioni climatiche estreme – continua – nel mio settore è da considerarsi un luogo privilegiato in cui lavorare”. Il rischio, semmai, è un altro: molte università, infatti, essendo a corto di personale, tendono a sovraccaricare i docenti. Le ore settimanali passate in facoltà sono 40, divise tra aula, studio, ricerca e “un sacco di meeting”, precisa.

In Arabia Saudita esistono diverse tipologia di università: si va da quelle riservate solo alle donne (è il caso della Princess Nora University, la più grande università femminile al mondo, con 60mila iscritte) agli atenei misti (con un college of women separato che offre corsi di laurea dedicati). Infine, atenei privati e “progressisti”, come li definisce la stessa professoressa Petrucci, che “puntano proprio alla parità di genere, offrendo lo stesso programma ad entrambi i sessi, sia pure con due campus perfettamente speculari, uno per ogni genere”. È il caso della Dar Al Uloom University, dove lavora Anna Laura, che aggiunge: “Con mia grande sorpresa mi sono ritrovata a capo del Dipartimento di Architettura, che conta circa 10 docenti donne e 20 uomini, tutti coordinati da me”.

La separazione dei generi non sembra essere un problema per Anna Laura. “Uomini e donne non possono frequentare gli stessi ambienti – spiega – a meno che non siano famigliari. Di solito, comunque, ci sono più preclusioni per gli uomini single che per le donne single”. Un esempio? Gli uomini single non possono frequentare i parchi pubblici o le zone riservate alle famiglie. Ma gli accorgimenti non finiscono qui. Anche all’interno dell’università è previsto l’obbligo per le donne di indossare l’abaya, la tipica tunica femminile di colore nero che copre tutto il corpo, eccetto la testa, i piedi e le mani. E Anna Laura non può arrivare in ateneo in auto, perché per le donne è vietato guidare. “Questa separazione di genere, comunque, non significa necessariamente discriminazione – commenta –. Qui devo indossare l’abaya ma sono valutata per i miei meriti”.

Per il momento Anna Laura non sembra essersi pentita della sua scelta, anzi. “Quando mi chiedono cosa significhi, da donna, lavorare qui la risposta è sempre la stessa: sono molto soddisfatta, insegno e faccio ricerca. Quella che in Italia ero costretta a fare male, a mie spese, e nei ritagli di tempo”.

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