Non occorre essere esperti metereologi per sapere che, al centro di un uragano (nel cosiddetto “occhio”), il cielo torna improvvisamente sereno, il vento e la pioggia cessano, il peggio sembra passato. Invece è solo un illusione! La tempesta tornerà improvvisamente anche più violenta di prima cogliendo di sorpresa e martoriando gli impreparati avventurosi usciti allo scoperto.
Con questa piccola lezione di metereologia non voglio dire che questo sarà sicuramente ciò che ci aspetta nei prossimi mesi nel campo della macroeconomia globale, ma che ci siano buone possibilità che ciò succeda è un fatto che ormai sempre più numerosi economisti temono. E non si tratta di personaggi qualunque ma di economisti di altissimo livello come Janet Yellen, presidente della Federal Reserve americana, che non vuole essere presa in contropiede da un improvviso cedimento di qualche “anello” della sempre più complessa architettura dell’economia globale, e di Christine Lagarde, che un paio di settimane fa da Lima non faceva mistero di temere lo scivolamento dell’economia globale in recessione un pericolo concreto.
Ma a parlare molto più esplicitamente di pericolo di “secular stagnation” (stagnazione secolare) è un’altra grande firma dell’economia globale, quel Lawrence Summers già professore (e presidente) ad Harward, già segretario al Tesoro Usa nel 1999 (con Clinton presidente) e già favorito (anche da Obama) per sostituire Bernanke alla guida della Banca centrale americana, ma poi silurato dagli esponenti del partito repubblicano (in maggioranza nel Congresso) che non volevano in quella delicata posizione un esponente con idee molto distanti da quelle del loro partito, e hanno preferito sostenere l’elezione della Yellen che a quel tempo era già vice-presidente.
Summers non si è infatti smentito e ad ogni buona occasione ha sempre fatto sentire la sua autorevole voce in materia, a partire dalla sua netta contrarietà ad un rialzo del tasso di riferimento della Banca centrale, che lui sostiene da tempo pur essendo quel tasso praticamente a zero da oltre cinque anni, creando con ciò seri problemi ai risparmiatori, agli investitori del reddito fisso, alle banche e in ultimo, anche alla Banca centrale, che in caso di caduta dell’economia in stagnazione si troverebbe con le armi spuntate per l’impossibilità di usare la tradizionale leva monetaria sui tassi.
Summers già a febbraio citava quattro punti di permanente debolezza nell’economia americana e globale che consigliano prudenza e pazienza prima di togliere i “paletti” di sostegno all’economia americana. Tra l’altro il primo grande “paletto” (i 50/mld di dollari al mese delle operazioni di Quantitative Easing) era già cessato nel 2014.
Il primo punto indicato da Summers riguarda la lunga stagnazione della politica retributiva del mondo del lavoro americano, ferma da ben oltre cinque anni, quindi non direttamente causata dalla “Grande recessione” del 2008. Recentementemente è stata la Wal Mart, la più grande azienda commerciale al mondo per la vendita al dettaglio, a rompere il ghiaccio alzando un poco il salario agli oltre un milione di lavoratori della sua grandissima rete distributiva. Una mossa che voleva essere anche di grande sostegno all’economia interna americana. Ma non è stata gradita invece dal mercato, che ha “punito” duramente l’azienda con una perdita della quotazione di borsa vicina al 10%.
Il secondo punto è il tasso di inflazione che non vuole proprio saperne di salire nonostante i buoni risultati dell’economia interna e la discesa verticale della disoccupazione, scesa quest’anno attorno al 5%, un dato ottimale.
Il terzo punto è collegato al secondo, e riguarda il pericolo di alzare il tasso di riferimento troppo in fretta, frenando così una economia non ancora sufficientemente lanciata nella ripresa. La brusca frenata riporterebbe di colpo il Paese in recessione (cioè esattamente quello che è successo all’Europa nella prima metà del 2011 grazie alla doppia cavolata di Trichet).
Il quarto punto è dovuto alla combinazione di diversi fattori negativi che, a partire dallo scorso gennaio, pesano sull’economia americana. Accompagnare la già pesante rivalutazione del dollaro contro tutte le altre valute ad un contemporaneo rialzo dei tassi sarebbe una specie di suicidio per l’economia interna americana. Senza dimenticare che un rialzo del tasso di riferimento americano farebbe partire una reazione a catena globale di revisione dei tassi al rialzo. Benché questo potrebbe finalmente schiodare il tasso d’inflazione, il rovescio della medaglia sarebbe il maggior costo sul debito che i paesi altamente indebitati dovrebbero sopportare (l’Italia e’ tra questi).
Queste considerazioni però Summers le faceva, non dimentichiamolo, nello scorso mese di febbraio, adesso la situazione globale è già molto peggiorata. Nel frattempo si è avuto (finalmente!) l’avvio del Qe europeo che, ha dato una forte scossa all’economia europea (ma non può durare all’infinito), e ha consentito ai Paesi europei di riprendere economicamente fiato. L’economia dei Paesi asiatici (Cina e Giappone in testa) e degli altri Paesi emergenti del Bric (Brasile, Russia, India e Cina) è andata invece, con l’esclusione della sola India, fortemente calando.
Tutto questo è stato registrato dalle analisi del Fondo Monetario Internazionale che ha calcolato nel 6% la riduzione nel Pil americano, del 3% quello europeo, del 14% quello cinese e del 10% complessivamente quello degli altri Paesi Bric.
Summers nel suo recente articolo: “The global economy is in serious danger” (L’economia globale è in serio pericolo) segnala che in una siffatta situazione il pericolo di una caduta in depressione dell’intera economia globale è molto alto e che per scongiurarlo bisognerebbe praticare politiche di espansione del debito non di riduzione (ovviamente si riferisce agli Usa, non all’Italia. Comunque si tratta di una forte critica alle politiche di austerity). Summers raccomanda anche di non perder tempo. L”economia globale è in una situazione vicina allo stallo, cioè una stagnazione globale dalla quale sarebbe difficilissimo uscire, come l’esperienza giapponese insegna, e che provocherebbe una immediata ricaduta in recessione per i Paesi più deboli. Non si deve prendere alla leggera l’avviso di Summers, perché in effetti, anche se lui è uno dei più qualificati a darlo, certamente non è il solo.
William D. Cohan sul New York Times nell’articolo “Sensible pricing comes to high-risk debt securities” (E’ già in atto l’apprezzamento del debito ad alto rischio) avverte che una “correzione” è già in atto nel mercato dei bonds, dove il rendimento dei titoli meno pregiati è già salito parecchio, facendo ovviamente scendere di molto il loro valore attuale. Anche Ylan Q. Mui sul Washington Post paventa il rischio di una ricaduta in recessione (degli Usa), con quello che comporterebbe poi per l’economia globale. Rana Foroohar sul settimanale Time del 1 novembre segnala anch’essa un rischio di stagnazione globale dovuto alle concomitanti contrazioni di quasi tutte le principali economie del mondo.
Cosa resterebbe da fare a questo punto?
Qualcuno (Svezia, Danimarca e Svizzera) sta già sperimentando l’adozione di tassi negativi. Cioè, depositando soldi, bisognerebbe pagare invece di ottenere un rendimento. La cronaca locale dice che finora non ci sono state reazioni particolamente negative, ma è facilmente intuibile che può trattarsi solo di un espediente temporaneo e comunque di medio periodo, perché a lungo andare ci sarebbe comunque una pesante incidenza sul funzionamento del mercato finanziario.
Dopo questa lunga chiacchierata si può ora dire che guardando un po’ più in là del naso per vedere cosa c’è all’orizzonte, sul piano della macroeconomia si vedono solo nuvoloni neri che promettono niente di buono. Diventa perciò ancor piu stridente e incredibile l’ottimismo col quale Renzi e Padoan presentano le mirabilie delle loro riforme e della loro “stabilità”, palesemente indirizzata unicamente a illudere la gente in vista di probabili elezioni anticipate.