A volte ritornano: è quello che è successo ad alcuni padrini dell’età dell’oro della French connection, alla fine degli anni Sessanta, quando la mafia del Sud della Francia imperversava sul grande schermo (vedi i film con Alain Delon e Jean-Paul Belmondo) ma soprattutto nella realtà. Ebbene, in questi giorni, al tribunale di Marsiglia, è in corso un processo a carico di 15 imputati, quasi tutti over 65 anni (anche ampiamente), accusati di un megatraffico di droga tra l’America Latina e l’Europa. I media francesi l’hanno etichettata come la “Papy connection“, la connection dei nonnetti : questi boss, dimenticati e all’apparenza pensionati, ritornati alla ribalta.

Il losco affare girava intorno a Raymond Mihière, uno dei più giovani della compagnia (64 anni), detto “il cinese”, che ha ammesso di aver partecipato all’affaire, anche se nega di esserne la mente. Il giudice Patrick Ardid parla di un’alleanza tra diversi gruppi storici del banditismo meridionale francese. Il primo tentativo lo fecero nell’agosto 2011 inserendo la cocaina in recipienti di calamari congelati in arrivo in Spagna dal Cile. Ma il colpo venne sgominato. Allora, procedettero ai vecchi sistemi, il trasporto mediante i “muli”, anonimi passeggeri sui voli di linea.

Savellin Savelli, còrso, 71 anni, il 2 marzo 2012 venne arrestato a Buenos Aires : nella sua valigia la polizia trovò 6 chili di cocaina. Più tardi, nel novembre dello stesso anno, fu la volta di Jacky Slovinsky, 61 anni, fermato all’aeroporto di Roissy-Charles-de-Gaulle, a Parigi. Arrivava da Lima e stava recuperando il suo bagaglio, contenente 24,5 kg di polvere bianca. Invalido dal lontano 1977, Jacky ha ammesso di essere stato pagato 50mila euro per quel servizietto. E che ne aveva bisogno, perché l’indennità ricevuta per la sua invalidità non era più sufficiente ad andare avanti.

Il giudice Ardid, comunque, è convinto che tanti altri trasporti siano avvenuti senza impicci. Al processo in corso a Marsiglia e che si chiuderà il 6 novembre, comunque, non è facile per i magistrati. C’è chi chiede di poter interrompere l’interrogatorio, perché deve andare in bagno “per bisogni impellenti”. C’è chi arriva attaccato alla bombola di ossigeno. Slovinsky, per ragioni mediche, non si è neanche presentato.

Uno dei pezzi grossi della banda è Laurent Fiocconi, 74 anni, ai tempi dello splendore della French connection uno dei chimici più apprezzati del giro. Ha perfino raccontato la sua vita rocambolesca in un libro (titolo Il colombiano: dai padrini còrsi fino ai cartelli della droga, edito da Toucan). Si va dagli anni in cui raffinava l’eroina a Marsiglia, che poi inondava tutta Europa, al suo trasferimento nella giungla della Colombia, dove, con ammirazione per il suo talento, lo chiamavano “il mago”. Orfano a tre anni, Fiocconi venne tirato su dal suo padrino di battesimo in Corsica. Poi da giovane imperversava nel quartiere di Pigalle a Parigi con i primi furti ed estorsioni.

Nel 1969 venne estradato dall’Italia verso gli Stati Uniti, ma riuscì a evadere dalla sua prigione a New York cinque anni più tardi, destinazione Colombia, dove entrò in contatto con un certo Pablo Escobar. “Charlot” (il suo soprannome tra i compari francesi) venne recuperato in Brasile dalla polizia americana : scontò altri quindici anni di carcere negli Usa. Di ritorno nel 2000 a Pietralba, nella sua Corsica natale, sembrava un pensionato in tutto e per tutto. Ma a volte ritornano.

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