Pochi giorni fa la polizia montenegrina su impulso del governo di Milo Djukanovic (in passato mai condannato per contrabbando milionario di sigarette solo perché già premier) ha sparato lacrimogeni sui manifestanti in piazza: chiedevano le sue dimissioni e un esecutivo di garanzia che portasse il paese ad elezioni libere. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è il possibile ingresso nella Nato e nell’Ue del Montenegro a cui Dukanović replica accusando Mosca della regia delle proteste. Un po’come faceva il presidente turco Erdogan che imputava al suo ex amico, il predicatore Gulen, le proteste di piazza: e solo per avere il potere di premere il pulsante della repressione.
Ma Djukanovic gioca la sua partita sul terreno della comunicazione e sa quello Ue e gli Usa vogliono sentirsi dire in questo momento: censurare pericoli di instabilità, incolpare qualcun’altro dei moti di piazza così come fatto da Erdogan a Gezi Park e rafforzarsi in questo modo agli occhi di Bruxelles e Washington. Il problema, però, è che al netto di strategie, simpatie e rapporti personali, il Montenegro è un paese dove i parametri democratici e relativi alla libertà personale e imprenditoriale non sono garantiti.
Le ragioni principali delle manifestazioni anti-governative risiedono nella povertà diffusa e nella corruzione. Quasi tutte le principali imprese industriali sono chiuse. Il tasso di disoccupazione è superiore al 15,5%. Le persone sono in fuga dal paese, nel tentativo di trovare una vita migliore in Ue. E, altra analogia con il governo di Ankara, i giornalisti di opposizione vengono quotidianamente attaccati e anche uccisi, come dimostra l’ex direttore del quotidiano Dan, Duško Jovanović freddato da tre killer nel 2004, e definito il Čuruvija montenegrino: infatti Slavko Čuruvija direttore del Dnevni Telegraf e di Evropljanin fu ucciso a Belgrado l’11 aprile del 1999 e del processo poco o nulla si sa.
E ancora, il Foreign Office americano classifica il Montenegro come uno stato mafioso: ciò significa che alti funzionari del governo in realtà diventano veri e propri players in barba a tutte le regole di concorrenza e mercato. Lo stesso Djukanovic è stato indagato dalle Procure di Napoli e Bari per contrabbando internazionale di sigarette ma non ha pagato dazio in quanto aveva l’immunità diplomatica. Mentre nel 2009 l’italiana A2A ha pagato oltre 400 milioni di euro per il 51% della montenegrina Epcg che produce elettricità e oggi dopo sei anni sembra stia perdendo i propri investimenti. Proprio come accaduto alla cipriota Ceac e alla olandese Mnss.
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