Poniamo che un generale dell’esercito si mettesse a suggerire al governo in quali delle numerose guerre del mondo intervenire attivamente e da che parte stare, oppure che un Direttore di una Azienda sanitaria locale avanzasse proposte sulla modalità di applicazione di ticket alla popolazione o, infine, che il Presidente della Rai volesse dettare al Parlamento le regole per la assegnazione delle frequenze o per le modalità di accesso dei partiti politici alle trasmissioni televisive, magari durante le campagne elettorali.
Sarei più che certo che tutti i partiti indistintamente, supportati dai giornalisti di tutti gli orientamenti, insorgerebbero gridando all’invasione di campo, in difesa delle prerogative degli organi legislativi, pretendendo marce indietro e parlando di pericolo per la democrazia.
In effetti le tre cose citate rappresenterebbero quantomeno una stranezza e farebbero pensare che coloro che sono stati posti a gestire nel migliore dei modi organismi che devono attuare le scelte politiche di governo e Parlamento abbiano fatto un po’ di confusione tra il ruolo, appunto, di gestori di regole stabilite per la comunità dagli eletti da quella comunità e il ruolo prettamente politico di chi le regole deve farle su delega del popolo.
Non si comprende quindi perché non venga dettato un secco stop alle esternazioni del Presidente dell’Inps Tito Boeri quando deborda dal suo ruolo di amministratore dell’ente pensionistico e si ritaglia una parte da politico che diffonde le sue visioni non su come far funzionare l’Inps nel modo più efficiente, ma su come distribuire o ridistribuire le risorse che il suo ente dovrebbe amministrare.
In ordine di tempo, l’ultima diffusione di idee politiche è avvenuta domenica scorsa 1 novembre nel corso della trasmissione in 1/2 ora . Nella trasmissione, favorito da domande per nulla imbarazzanti né incalzanti, Boeri ha potuto, senza alcun contraddittorio, spiegare la sua visione politica del sistema pensionistico/previdenziale, mascherandola sapientemente da suggerimento tecnico.
Beninteso, la visione di Boeri è dignitosa come qualsiasi altra idea politica sul welfare, ma il pulpito dal quale predica non è quello idoneo, perché il posto giusto per avanzare proposte su come distribuire il reddito tra i pensionati, trattandosi di materia di organizzazione della società, è un seggio del Parlamento, ammesso che uno riesca a farsi eleggere dopo avere spiegato bene ai potenziali elettori i suoi intenti nel caso in cui accedesse al governo.
Nel dettaglio, Boeri ha spiegato che esistono alcune categorie privilegiate dal defunto sistema retributivo e ha citato in particolare i dirigenti di Azienda e i dipendenti delle Ffss, avanzando la proposta (che avrebbe presentato in giugno al governo in carica) di ridurre ex post le pensioni che si dimostrassero privilegiate da quel sistema di calcolo. Nessuno può contestare che ciò che ha detto sia falso; è noto che tra quelle categorie ci sono (anche) pensionati che beneficiano di trattamenti “sovradimensionati”, ma il problema è che Boeri ha detto una mezza verità, nel senso che ne ha omesse due importantissime, senza prendere in considerazione le quali il quadro dipinto è completamente distorto.
Le due verità sono le seguenti:
1- Il sistema retributivo ha favorito il 97% dei trattamenti pensionistici e non solo le categorie che l’Inps ha analizzato nella sua operazione “porte aperte”
2- Le maggiori differenze percentuali tra assegno retributivo e spettanza contributiva sono collocate nelle pensioni basse e medie, con la postilla non irrilevante che proprio nelle pensioni alte sta quel 3% dei pensionati che dal sistema retributivo è stato penalizzato.
A chiarirci meglio le idee su questo, ci aiuta un grafico pubblicato, guarda caso, su LaVoce.info alla quale Boeri ha collaborato per anni, all’interno di un articolo a firma Patriarca Sr. e Jr.
Il grafico fornisce il beneficio percentuale del calcolo retributivo per i vari importi di reddito lordo e giova integrarlo con un altro grafico, pubblicato dall’Inps nella sua operazione ”porte aperte” (facciamo: socchiuse?) e relativo ai dirigenti di Azienda.
Questo secondo grafico completa il quadro indicando come circa il 12% degli ex dirigenti pensionati percepisca pensioni inferiori rispetto al calcolo contributivo; 12%, cosa inesistente in qualsiasi altra categoria di pensionati.
Il quadro che si desume dai due grafici combinati è un po’ diverso da quello che Boeri in tv e attraverso il sito dell’Inps sta cercando di far passare e vale la pena di precisarlo bene: il grosso dei beneficiari del sistema retributivo si trova nella fascia di ultimo reddito lordo tra 2.500 e 7.000 euro, vale a dire pensioni tra circa 2.000 e 4.500 euro lordi/mese, che significano al netto importi tra 1.600 e 3.000 euro; a tutti gli effetti, pensioni medie. Le pensioni da 5.000 euro lordi in su hanno benefici progressivamente decrescenti fino a diventare negativi, come nel caso del 12% dei dirigenti di azienda pensionati.
Dunque, Boeri ha sorvolato su due dati che non può ignorare, visti i siti su cui sono stati pubblicati e che non si tratti di un lapsus è dimostrato assai bene dal suo silenzio a fronte di ripetuti inviti a divulgare i dati complessivi nell’ambito dell’operazione “porte aperte” dell’Inps, che gli ho rivolto diverse volte.
E se non si tratta di ignoranza o di un lapsus, deve trattarsi di uno scopo ben preciso, che a mio avviso è tutto politico: promuovere la ridistribuzione di reddito nel solo ambito pensionistico.
Come ho detto all’inizio non mi scandalizza l’idea politica di Boeri, ancorché non la condivida per nulla; il dualismo tra gli ideologi della ridistribuzione attraverso alte tasse e prelievi vari e quelli del diritto alla ricchezza anche alta, se onestamente conseguita, durerà in eterno ed è materia di scontro quotidiano in tutti in parlamenti democratici del mondo; ma, appunto: nei parlamenti, luoghi deputati a discutere di politica, possibilmente in modo trasparente.
Mi scandalizza invece abbastanza che l’idea (ideologicamente orientata) venga pubblicizzata mascherandola con tecnicismi e supportandola con dati parziali che impediscono di comprendere bene il disegno che si può sintetizzare in: tagliare benefici che sono dell’ordine tra 0 e 15% e lasciare immutati quelli tra il 20 e il 30%; quello a cui si mira, in realtà, non è l’attuazione di un principio tecnico previdenziale come potrebbe sembrare a prima vista.
Sarebbe interessante che i partiti politici, ai quali spetterebbe formulare proposte e idee sul sistema pensionistico, si esprimessero sugli sconfinamenti politici di Boeri, per far capire ai pensionati cosa potrebbero avere in testa, quando chiederanno il loro consenso in qualità di elettori e perché si comprenda se la politica ancora si fa nei luoghi a essa deputati.