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Elezioni Turchia: ‘L’uomo solo al comando’ non porterà pace e stabilità

Non è sicuro che la vittoria di Tayyip Erdogan e del suo primo ministro Ahmet Davutoglu portino al paese stabilità, sicurezza, crescita economica e la disponibilità a tenersi gran parte dei due milioni e passa di rifugiati siriani oggi presenti in Turchia. Eppure molti qui a Bruxelles e immagino anche in qualche capitale, sembrano convinti che, alla stregua del generale Al-Sisi, di Putin e perfino di Orban, alla fine sia meglio un tendenziale dittatore oggi che una democrazia più complicata domani. Non a caso, la visita di Angela Merkel a due settimane dal voto o le dichiarazioni a mio parere assolutamente scandalose di Jean-Claude Juncker – secondo il quale non bisogna “continuare a menarla” (traduzione letterale di “harp-on”) con ‘sta storia dei diritti umani e civili in Turchia dato che scocciare Erdogan sulla libertà di stampa non renderà più semplice affrontare la questione dei rifugiati -, dimostrano chiaramente che Erdogan può stare tranquillo anche sul fronte degli amici più o meno sinceri che oggi guidano la Ue.

Fortunatamente, il fatto che l’Hdp, il partito filo-curdo, – diventato anche l’espressione della Turchia più liberale, progressista, femminista (ed ecologista) – sia riuscito a superare di un soffio l’altissima soglia del 10%, impedisce ad Erdogan di modificare la Costituzione a suo piacimento, almeno per il momento; ma è comunque un fatto che la parte della società turca che ha manifestato a Gezy Park o che sostiene la causa di una Turchia plurale, non confessionale e aperta è una minoranza nel paese, resa ancora più modesta da una campagna elettorale estremamente squilibrata a favore del governo.

Il gioco sporco di Erdogan e del suo Primo ministro hanno pagato, perché ha sostanzialmente cambiato le carte in tavola rispetto alle elezioni di giugno. Anzi le ha truccate, senza neppure avere bisogno di organizzare dei gran brogli.

Dalla decisione di tornare al voto a pochi mesi dalle elezioni del 7 giugno, in un contesto di estrema polarizzazione, di interruzione del processo di pace con il Pkk e di ripresa della violenza, di continui arrivi di profughi dalla Siria, la propaganda dell’Akp non ha avuto praticamente rivali su tutti i media, in un crescendo di repressione che ha sorpreso tutti. Il famosissimo giornalista Ahmet Hakan (una specie di Bruno Vespa turco) che aveva con la sua intervista sulla Cnn turca dato grande visibilità ed aveva contribuito all’immagine positiva di Demirtas, è stato pestato sotto casa sua all’inizio di settembre. Numerosi quotidiani e soprattutto Tv sono stati chiusi, decine di giornalisti licenziati, due giornali sono stati “occupati” e trasformati in un giorno in organi di governo, anche vere e proprie istituzioni come i quotidiani Hurriyet o Cumhurryet non sono stati risparmiate. Il direttore di quest’ultimo è sotto processo e quando l’ho visitato a metà ottobre mi ha detto senza mezzi termini che se Erdogan avesse ottenuto la maggioranza assoluta, la prossima volta saremmo andati a trovarlo in carcere.

Inoltre, con un cavillo, si è escluso l’Hdp dal finanziamento pubblico per questa campagna elettorale; il terribile attentato di Ankara e le continue minacce di morte al suo leader (e non solo) hanno portato l’Hdp alla decisione di sospendere le iniziative dal 10 ottobre, per ragioni di sicurezza dei suoi rappresentanti e militanti.  La sua insistenza su soluzioni pacifiche e sul dialogo – peraltro poco visibili nel dibattito pubblico – sono risultate sicuramente meno convincenti che gli appelli roboanti alla coesione e all’unità dei turchi, rispetto alle minacce esterne e soprattutto interne. Numerose personalità, sindaci, attivisti curdi (compreso il capo dell’ordine degli avvocati a Dyarbakyr) sono stati arrestati, decine di civili e militari turchi sono stati uccisi, quindi in molte zone non c’è stato alcun cessate il fuoco, e gli annunci del Pkk sono rimasti senza effetto.

Insomma, in questa situazione già di per sé estremamente tesa e sicuramente non libera ed equilibrata, non c’è proprio da essere particolarmente stupiti dell’ampia vittoria di Erdogan. Come si poteva pensare, infatti, che questa tensione crescente e il gioco elettorale truccato non avrebbero avuto un impatto forte sull’orientamento degli elettori?

A pochi giorni dalla chiusura dei seggi, dense nubi si addensano sul meraviglioso cielo turco. Vedremo se la vivace società civile e le forze democratiche che pur siederanno in Parlamento potranno resistere alla pressione del nuovo sultano. Temo che dovranno fare da soli o quasi, perché non sarà certo l’Ue di Juncker, Merkel, Hollande o Renzi che muoverà un dito per aiutarli.

Bruxelles,  4 novembre 2015