Il parlamentare ex Pd poche ore prima aveva diffuso una nota in cui attaccava il presidente del Consiglio alludendo a fatti e situazioni di cui non voleva parlare: "Lui sa che io so". Oggi su La7 e con un post su Facebook fa marcia indietro: "Mi scuso per le interpretazioni sessiste. Ma il segretario è un leader fragile"
“Renzi è subalterno alla Boschi. Ma politicamente, non c’è nulla di sessuale”. Il giorno dopo l’attacco, il senatore ex Pd Corradino Mineo fa marcia indietro, ma soprattutto fa i nomi. Solo poche ore prima infatti, in una nota aveva alluso a fatti e situazioni di cui non voleva o non poteva parlare: “Renzi è succube di una donna bella e decisa. Lui sa che io so”. Si era ipotizzato che parlasse del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, ora è lui stesso a fare il nome.
“I giornali”, ha detto su La 7 a “L’aria che tira“, “hanno usato le mie parole per portare in prima pagina quello che girava come pettegolezzo. Ma io non volevo dire nulla di male”, ha aggiunto, “parlavo in generale. Renzi talvolta è subalterno ai suoi collaboratori. Io so che non credeva né nella riforma costituzionale, né della scuola. Ma i suoi lo hanno forzato, è un leader fragile. Mi scuso se qualcuno ha visto allusioni sessiste, ma io non volevo fare alcun riferimento sessuale. Sono gli altri ad essere ‘fissati'”.
Nelle scorse ore il parlamentare che ha da poco lasciato il Partito democratico in segno di polemica con la linea “renziana”, ha diffuso una nota dove attaccava duramente il segretario. “Mi scuso”, ha scritto su Facebook, “per aver dato la stura a interpretazioni siffatte. Non mi interesso di fatti privati, non intendevo fare riferimenti ‘sessisti’, come dice il Corriere, né mandare ‘pizzini’, come scrive Repubblica“.
Mineo però ha poi attaccato: “Intendevo reagire all’imbarbarimento della politica di cui, secondo me, il primo responsabile è Matteo Renzi. È il premier che risolve ogni contrasto politico in una battuta sferzante, che supera ogni difficoltà ‘spianando e asfaltando l’avversario’. È sua la macchina informativa, sui giornali e in rete, che amplifica dette battute fino a promuovere veri e propri linciaggi”. E ha concluso: “‘Lui sa che io so’ non era minaccia, né voleva esserlo. Era la constatazione desolata di come Renzi prenda il caterpillar ogni volta che si sente in fallo, che qualcuno accenna alle fragilità che si celano dietro la maschera spavalda, talvolta arrogante, che ama indossare”.