Cara Chiara, oggi sono stato affianco a colui che ti ha ridotto cosi per sempre…lo sai oggi sei stata oltraggiata da lui…dal suo avvocato e dai giudici che non hanno coraggio…Chiara …L’ITALIA è un paese dove non c’è dignità e oggi in quell’aula si parlava solo del modo in cui riabilitare al mondo quel verme di Falcioni…nessuno ha mai pensato a come sei e sarai per sempre ridotta e abbandonata…lui ha ricevuto un bellissimo sconto che lo aiuterà a tornare presto a fare la sua vita…Oggi mi piacerebbe avere la possibilità di sapere che potrei portarti via da questa Italia…bruciare la mia carta d’identità sarebbe un sogno..io non mi sento rappresentato più da nessuno in questo paese…si fanno ricorrenze…si fanno salotti e si parla di violenza sulle donne..ma al dunque chi fa’ del male a una donna ne esce sempre meglio di chi è vittima…Chiare’ oggi non ci vediamo so’ stato male e non mi sento bene…ma vedrai che domani mi rialzo e ci rivediamo…tu sei la mia guida e ti ringrazio perché senza di te non posso sta’…
Maurizio Insidioso si sfoga su fb contro i giudici della Corte di Appello di Roma poi il pensiero va alla figlia Chiara che accudisce da quando finì in coma per la ferocia di Maurizio Falcioni. Il fidanzato che nel febbraio del 2014 la colpì ripetutamente fino a sfondarle l’orbita e il cranio, spappolarle la milza e a procurarle altre gravi lesioni. Chiara aveva solo diciannove anni.
Il padre di Chiara dopo la lettura della sentenza che ha ridotto da venti anni a sedici la condanna comminata a Falcioni nel processo di primo grado, si è accasciato a terra per un malore mentre la moglie ha urlato “vergogna” ai giudici. Ora si dovrà attendere la motivazione della sentenza per comprendere perché nel processo di appello siano state concesse delle attenuanti. L’avvocata di un centro anti-violenza mi diceva che questa sentenza sembra confermare la tendenza dei giudici di appello ad ammorbidire le sentenze di primo grado. Si domandava se abbia un senso lo sconto di pena per un crimine così efferato perché la prima condanna era stata comminata con il rito abbreviato che già prevede la riduzione di un terzo della pena. Il gup nel 2014 aveva accolto tutte le richieste del pm e sulla testa dell’imputato, giudicato capace di intendere e volere, era pesata anche l’aggravante di aver commesso altri maltrattamenti nei confronti di Chiara, fino a quel pestaggio brutale.
Ma in quelle aule dove riponiamo tutte le nostre speranze di giustizia e dove attendiamo il riconoscimento dei danni subiti, spesso irreversibili, non sempre sentenze e giustizia si abbracciano. A volte si sfiorano appena o si voltano le spalle. E’ anche vero che non tutto può essere sciolto nel processo penale e ci sono altri luoghi, altri cammini da intraprendere per elaborare il dolore e sono fuori delle aule dei tribunali e lontani dalle loro logiche. E’ lungo, doloroso ed iniquo il compito che spetta ai genitori di Chiara.
Scriveva la filosofa Simone Weil che il carnefice non avverte il male ma solo l’innocente lo avverte. Le parole dei carnefici rivelano spesso una desolante assenza di dolore e nelle subdole giustificazioni, nelle frettolose scuse, nel ridimensionamento indecente delle peggiori azioni ciò che risalta in maniera oscena è la preoccupazione di loro stessi e del loro destino.
In un’intervista pubblicata il 7 ottobre scorso su Il Tempo.it, Maurizio Falcioni aveva sperato che i giudici “riconsiderassero la vicenda dal suo punto di vista” e gli riducessero la pena: “l’ho solo spinta”, “avevo il terrore di essere abbandonato”, “è stato un raptus”, “ero geloso”. Sono frasi che abbiamo letto o sentito tante volte quando viene banalizzato quel crimine contro le donne che si chiama femminicidio. Un imputato ha la facoltà, insieme al suo legale, di scegliere con quale linea difensiva affrontare il processo ma, oggi, la nostra società comprese le aule di tribunale non può continuare a confondere questa grave violazione dei diritti umani delle donne con l’amore o la gelosia. Equivarrebbe a sancire che la scelta delle donne di separarsi da un uomo e di sottrarsi all’imperativo di amarlo e accudirlo fino alla fine della loro vita (appunto) sia, ancora oggi, un affronto da lavare col sangue. Non abbiamo nessuna possibilità di cambiare la cultura del femminicidio senza modificare lo sguardo con cui interpretiamo tutte le violenze che colpiscono le donne nelle relazioni di intimità. E quello sguardo deve cambiare nella società e nei tribunali.
Quello che auspichiamo per Chiara, per i suoi genitori, per tutte le donne vittime di femminicidio e per i loro familiari che chiedono giustizia, è che i giudici della Corte D’Appello di Roma non abbiano visto il massacro di Chiara con gli occhi dell’imputato proprio come lui sperava e che le motivazioni della sentenza abbiano trovato altrove le loro ragioni.
@nadiesdaa