In una conferenza stampa alla Casa Bianca il presidente degli Stati Uniti ha annunciato di aver accolto la raccomandazione del segretario di Stato John Kerry sulla necessità di respingere il controverso progetto energetico. Ma il 31 ottobre 2014 lo stesso Dipartimento di Stato aveva detto sì al progetto per motivi elettorali
Washington ha deciso: “Il Dipartimento di Stato dopo consultazioni è giunto alla conclusione che l’oleodotto Keystone non è negli interessi degli Stati Uniti e io sono d’accordo”. Lo ha detto il presidente Barack Obama, annunciando che la sua amministrazione respinge il progetto. “Oggi gli Stati Uniti hanno un ruolo di leadership sul tema dei cambiamenti climatici“, ha detto ancora il capo della Casa Bianca, annunciando in conferenza stampa di aver accolto la raccomandazione del segretario di Stato John Kerry sulla necessità di respingere il controverso progetto energetico che minerebbe la leadership dell’America in campo ambientale.
“Se vogliamo prevenire gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici prima che sia troppo tardi, bisogna agire adesso“, ha spiegato Obama, confermando la sua partecipazione al Summit Onu sui cambiamenti climatici che si terrà a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre. Il presidente ha precisato, quindi, di aver parlato al premier canadese, Justin Trudeau, della decisione e che nelle prossime settimane ci saranno intensi colloqui per rafforzare il rapporto tra i due Paesi.
Una vera e propria inversione a U, quella del Dipartimento di Stato e, di conseguenza, dello Stesso Obama. Perché il 31 gennaio 2014 – anno in cui si sono svolte le elezioni di mid term – lo stesso dipartimento aveva dato il proprio assenso alla costruzione dell’oleodotto e aveva diffuso un report secondo cui cui la costruzione dell’opera non avrebbe comportato preoccupazioni particolari sul fronte della tutela dell’ambiente.
Un rapporto che veniva incontro alle richieste della lobby del petrolio in larghissima parte vicina ai repubblicani, ma anche a settori importanti del partito democratico. Un eventuale stop al progetto avrebbe avuto infatti un costo politico enorme per la Casa Bianca in chiave elettorale: a favore del gasdotto si erano schierati alcuni senatori democratici, come Mary Landrieu della Louisiana, Mark Begich dell’Alaska e Mark Pryor dell’Arkansa, tutti in cerca di rielezione alle elezioni di medio termine del successivo novembre. Se il gasdotto fosse stato stoppato, le loro chance di vittoria elettorale sarebbero scese al minimo, pregiudicando così il mantenimento della maggioranza democratica al Senato, cruciale per il successo dell’ultima fase dell’amministrazione Obama.
Anche Michael Bloomberg, si schiera al fianco della Casa Bianca nella lotta ai cambiamenti climatici. Il miliardario ex sindaco di New York ha deciso di sborsare di tasca propria 10 milioni di dollari per finanziare una serie di spot televisivi che prendono di mira i procuratori dei 4 stati Usa che si stanno battendo contro le nuove regole volute dalla Casa Bianca per ridurre le emissioni inquinanti dei grandi impianti.
La campagna – scrive il New York Times – dovrebbe costare alle casse del magnate dei media circa 10 milioni di dollari, e riguarderà Missouri, Florida, Michigan e Wisconsin. Quattro stati dove operano dei procuratori generali – sia democratici che repubblicani – schierati contro il Clean Power Plan varato dall’amministrazione Obama. Gli spot sono tesi a spiegare all’opinione pubblica i danni che le emissioni dei grandi impianti provocano alla salute delle persone e andranno in onda in quattro stati che tra l’altro sono tradizionalmente terreno di scontro tra i candidati alla presidenza. Dunque, l’argomento potrebbe prepotentemente fare il suo ingresso nella campagna elettorale per la corsa alla Casa Bianca.