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Foto di Paolo Conserva

“Ho scelto una storia che non solo fosse ben articolata drammaturgicamente, ma che ci raccontasse, ci appartenessee, ci descrivesse”. Così, a chiosa di una personalissima introduzione al suo ultimo lavoro operistico, Le braci, commenta Marco Tutino, il compositore già autore di una lunga serie di lavori per il teatro, tra cui Vite immaginarie, La lupa, Il gatto con gli stivali e Senso: “Le braci nascono come una sfida – prosegue il compositore – (…) decido di provare una missione quasi impossibile: mettere in scena un apparentemente banale e classico ‘triangolo’ sentimentale e nello stesso tempo incaricarlo di rappresentare la caduta di un impero”. L’impero in questione è quello austro-ungarico e la vicenda, andata in scena ieri sera presso il Teatro dell’Opera di Firenze, è infatti ambientata in una Vienna a cavallo fra tempi e periodi molto distanti tra loro: due amici, Konrad ed Henrik, si incontrano dopo 44 anni, ormai anziani, per riportare alla memoria le vicende che li hanno traghettati verso una lunga e dolorosa separazione.

I continui flashback dei due protagonisti strappano il passato alla sua eterna quiete per riportarlo, non cronologicamente ma per pura associazione di idee, al centro della scena, in una scenografia, firmata da Tiziano Santi, sapientemente divisa a metà: ai due lati l’esterno in cui ebbe luogo la fatidica caccia, quella che i due rimembrano e che continua ad arrovellare i pensieri di Henrik; al centro l’interno del castello nel quale lo stesso Henrik ha trascorso, senza alcun contatto con l’esterno e la sola compagnia di Nini, la governante novantenne, i suoi ultimi venti anni di vita. Un monologo, sostenuto dall’intera orchestra, precede però la messinscena: Leo Muscato legge Ultime braci, testo del Sándor Márai già autore de Le braci, l’omonimo romanzo dal quale Tutino ha tratto il libretto dell’opera. L’orchestra si inserisce a monologo già iniziato, con un velocissimo e bollente fraseggio su di una scala cromatica discendente. In piano, pianissimo, con suoni gravi agli ottoni, la musica inizia a commentare le parole del monologo che prosegue in salita, con pathos sempre crescente. Un linguaggio che ricorda lo Strawinsky della Sagra, laddove i fiati irrompono con veloci e spezzati fraseggi che aggiungono pennellate di colore, schizzi nevrotici su tappeti di archi in registro acuto.

Quella di Tutino è un’opera lirica contemporanea che ai linguaggi e alle tecniche contemporanee non aderisce se non funzionalmente: il compositore sceglie di procedere secondo la migliore delle tradizioni cinematografiche, laddove una vera e propria mixture di stili e linguaggi vari, dall’atonale al neotonale, dal classico al neoclassico, trova la propria ragion d’essere nella continua, persistente e fluida mutevolezza dell’intreccio drammaturgico. Una vera e propria colonna sonora in grado di trasferire ed esprimere musicalmente le forti tensioni che connotano lo struggente tessuto narrativo.

Non tutta questa musica potrà forse sopravvivere alla scena, ma certamente sopravvivono, eccezionalmente bene, molte delle arie che, intervallandosi ai recitativi, denotano un grande rispetto dei canoni operistici tradizionali. Toccante e di rara bellezza “Avevo quindici anni”, l’aria con la quale la terza protagonista de Le Braci, quella Kristina al centro del triangolo amoroso e impersonata dalla brava Angela Nisi, racconta con rancore la vigliaccheria di Konrad, l’uomo più bello mai visto: una lunga tensione amorosa lungo la quale la protagonista femminile rivela tutto il suo amore, misto a forte rancore, per Konrad, pianista e lontano discendente di Chopin. Notevoli poi tanto il terzetto dei tre protagonisti da giovani quanto il sestetto finale, il momento nel quale tutti i personaggi si ricongiungono, passato e presente trovano dimora nello stesso tempo, nella stessa scena, una riappacificazione ideale appena dopo l’emergere della sconcertante verità: “Siamo tutti morti – canta Nini – (…) E tu – rivolgendosi ad Henrik – ora lo sai. Accetta il tuo destino”. Un destino, più collettivo che individuale, al quale Henrik non vuole arrendersi: “Oggi si crede che tutto rinasca dal nulla – canta subito dopo Nini -, senza memoria, oggetti dispersi privi di forma e di legami. No! Non mi arrendo a questa barbarie”.

Gli applausi non stentano a scrosciare per un’opera capace di emozionare, per un lavoro complesso ma allo stesso tempo diretto, estremamente comunicativo. Presente a questa première della nuova messinscena dell’ultimo lavoro di Tutino, ne dice così, all’uscita dal teatro, il maestro Nicola Piovani: “Una bella musica, mi è piaciuta molto”.

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