Adusbef e Federconsumatori non mollano la presa. E sulla vicenda della maxi-svalutazione delle azioni subita nel 2014 dalla
Banca popolare di Vicenza (BpVi), costretta ad un pesante aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro per fronteggiare le
perdite di oltre
un miliardo registrate nel primo semestre 2015 , vanno all’attacco. I presidenti delle due associazioni
Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, hanno indirizzato, non più tardi di 48 ore fa, un
esposto alla procura del capoluogo veneto, denunciando le
“malversazioni praticate ai danni di clienti e soci” della banca. Per le quali, scrivono nero su bianco, “
la dirigenza storica” di BpVi “dovrebbe essere chiamata a rispondere di
falso, estorsione e truffa pluriaggravati e continuati in concorso”. Arrivando, addirittura, a chiedere “
l’adozione di urgenti provvedimenti anche restrittivi della libertà personale in capo ai vertici aziendali della Banca popolare di Vicenza”. A cominciare dal
presidente Gianni Zonin, già indagato per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza . “Una richiesta doverosa dal momento che Zonin continua a ricoprire la carica di
presidente, posizione nella quale non può non sussistere un concreto
pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato – ribadisce Lannutti a
ilfattoquotidiano.it –. Anche perché è bene ricordare che stiamo parlando di una
frode di dimensioni colossali concretizzata
ai danni di 117 mila piccoli azionisti per un
danno quantificabile nell’ordine di 3-4 miliardi di euro: una cifra rispetto alla quale gli imputati di Mafia Capitale rischiano di passare per ladri di polli”.
TITOLI IN PICCHIATA – Nelle quattro pagine redatte per i magistrati, Adusbef e Federconsumatori puntano il dito contro “una gestione inidonea della banca che ha portato a gonfiare fino a 62,50 euro le azioni”, laddove, “secondo un articolo pubblicato dal Corriere Economia”, gli analisti finanziari “concordano” che la prossima primavera potrebbero essere collocate sul mercato “al prezzo di 10 euro e forse meno”. Se l’indiscrezione fosse vera, si legge nell’esposto, i titoli della Popolare di Vicenza “in meno di un anno avrebbero perso tra l’80 e il 90% del loro valore”. Una vera e propria picchiata: da 62,48 euro (“ai primi dello scorso aprile”), a 48 euro (valore attuale) e, secondo gli analisti finanziari (“ma è stato ammesso in sede di cda il 30 settembre scorso”), destinati a calare ancora. Con conseguenze pesantissime per i soci. A cominciare da quelli più grandi, come “la Fondazione Cassa di Risparmio (di Prato) che nel proprio portafoglio aveva 22 milioni di euro di azioni della Popolare vicentina, tagliati di 5 dopo la prima svalutazione”. E che, se davvero il prossimo collocamento sul mercato facesse “precipitare il valore delle azioni a 10 euro”, finirebbe per ritrovarsi “con appena 3,5 milioni di euro”. Stessa sorte per quell’esercito di piccoli azionisti “che magari per avere un prestito si sono trovati a dover acquistare il pacchetto base offerto da BpVi: 100 azioni al prezzo di 6.200 euro”. Il cui valore rischia di crollare a “poco più di mille”. Il tutto mentre, a fine settembre, la banca ha annunciato “una riorganizzazione da lacrime e sangue con 150 filiali da chiudere e 600 dipendenti da mandare a casa da qui al 2020” e “un contestuale aumento di capitale da un miliardo e mezzo”.
PERIZIE NEL MIRINO – Ad innescare il tonfo, un ingranaggio che ha finito per incepparsi: “Il borsino interno delle azioni”, accusano Lannutti e Trefiletti. “Come popolare non quotata, la BpVi non ha un mercato pubblico dove trattare i suoi titoli”. I soci possono venderli, appunto, solo attraverso un borsino interno della banca (tecnicamente fondo acquisto azioni proprie), “a un prezzo prefissato dallo stesso istituto attraverso una perizia indipendente”. E “a ricomprarle era la banca stessa”. Tutto è filato liscio “fin quando i soci-clienti potevano comprare e vendere senza affanni”. Ma dopo che il prezzo è crollato da 62,5 a 48 euro e “per gran parte dei soci non è stato più possibile liquidarle” in seguito alla modifica della normativa di riferimento, “la macchina si è fermata e i problemi venuti a galla”. Soprattutto quando alcuni soci hanno iniziato a chiedere copia delle perizie in base alle quali era stato assegnato alle azioni “un valore già sospettato di essere gonfiato”, già nel 2008. “Già allora presentammo un primo esposto (poi archiviato) dal momento che appariva evidente che il valore dei titoli della BpVi fosse gonfiato di due-tre volte rispetto a quello delle azioni delle altre banche popolari”, ricorda Lannutti. Intanto, alle richieste dei soci di entrare in possesso delle perizie, la Popolare di Vicenza ha risposto così: “La perizia redatta dall’esperto incaricato dalla banca afferente il valore della azioni è un atto proprio del cda, che non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 119 del Tub (Testo unico bancario) che disciplina il rilascio della documentazione”. Precisando che il richiedente “potrà prendere visione delle perizie, senza estrarne in alcun modo copia e previa sottoscrizione di un impegno di riservatezza”. Ulteriore aspetto della vicenda sul quale Adusbef e Federconsumatori vogliono vederci chiaro. Non a caso hanno chiesto alla procura di Vicenza anche “di sequestrare le perizie a partire dal 2008, in modo da verificare con Ctu (Consulenze tecniche d’ufficio) indipendenti se le stesse fossero state redatte nel pubblico interesse anche della vasta platea di soci azionisti, oppure solo per assecondare le manie di grandezza del presidente Zonin e dell’intero cda”.
Twitter: @Antonio_Pitoni