Lavorare per un bene sequestrato alla mafia può provocare problemi. E non tanto per le ritorsioni della criminalità, che si è vista sottrarre la propria “roba” dallo Stato, ma per le complicanze burocratiche e le difficoltà amministrative che possono nascere. Lo dimostra la vicenda vissuta da un direttore di hotel, assunto nel 1996, proprio per gestire un albergo sequestrato – e successivamente confiscato – a un potente gruppo di Cosa nostra operante nel milanese. Dieci anni dopo l’interruzione del rapporto, ancora non riesce ad avere la sua liquidazione, così come è stabilito in una sentenza della Corte d’Appello di Milano.
L’hotel Moonlight di Siziano, secondo la giustizia era tra le disponibilità del clan siciliano dei Guzzardi-Di Marco che da tempo, attraverso propri colletti bianchi, operava e riciclava i proventi dei suoi traffici illeciti al nord. Con l’Operazione fine del 1994 quel gruppo criminale viene smantellato. Al suo interno troviamo personaggi del calibro di Salvatore Di Marco, già coinvolto in un’indagine degli anni ‘80 su una raffineria di droga scoperta ad Alcamo, vicino Palermo, e condotta dall’allora giudice istruttore Giovanni Falcone; oppure boss come Michele Guzzardi, dello storico clan siciliano radicato da decenni a Trezzano sul Naviglio, i quali per lavare i frutti dei loro traffici, prediligevano piccole aziende e ben avviati esercizi commerciali. Tra questi l’hotel di Siziano, affacciato sulla statale Binasca, che godeva di un gran via vai e di viaggiatori.
L’albergo, infatti, ha sempre guadagnato, anche dopo la confisca; e anche quando alla direzione c’era Sergio Fusco, il protagonista della vicenda. Nel 2005 Fusco è stato licenziato per giusta causa, perché secondo la proprietà avrebbe praticato concorrenza sleale aprendo un altro hotel vicino al Moonlight. I legali rappresentanti del quale, oltre a licenziarlo, gli hanno chiesto i danni e gli hanno trattenuto il Tfr. Dopo anni di causa il Tribunale di Milano nel 2013 ha sentenziato che le accuse nei confronti dell’imputato erano vere sino a un certo punto: l’hotel poteva trattenersi parte della liquidazione ma al Fusco andavano versati circa 67 mila euro.
E qui viene il bello. L’ex direttore ha provato a chiedere il pignoramento di quanto dovuto, ma la risposta delle istituzioni è stata che il bene era intoccabile, “per essere definitivamente divenuto, ex lege, patrimonio indisponibile dello Stato”. Anche il Tar della Lombardia, pronunciatosi recentemente sulla richiesta avanzata da Fusco di ottemperanza della sentenza della Corte d’Appello che gli dava ragione, lo ha dichiarato inammissibile, perché “non possono essere fatti valere nei confronti dello Stato, cui sono devoluti i beni confiscati, i crediti dei terzi verso il destinatario della misura antimafia”.
“Quello che ora stiamo valutando – dice l’avvocato di Fusco, Paolo Danielli – è procedere in sede penale, per comprendere il motivo per cui un bene sequestrato alla mafia 20 anni fa sia ancora in mano all’Anbsc (l’Agenzia nazionale per i beni confiscati, ndr). È questa situazione – aggiunge Danielli – che impedisce al mio cliente di ottenere ciò che sarebbe un suo diritto avere. Ma qui si è proceduto per deroghe e il bene continua ad essere dello Stato, contro il quale nulla possiamo fare”.
“Non ci si deve stupire più di tanto” dice l’avvocato Alessandro Cortesi, che rappresenta la società in origine proprietaria del Moonlight che spiega: “Sebbene le norme, come il Codice dell’antimafia, prevedano per un bene sequestrato una destinazione finale di vendita o di assegnazione a Regione o al Comune, per utilità sociali, in realtà la cosa, come tanta parte di questa disciplina, è rimasta e rimane purtroppo inattuata”.
Insomma la vicenda Fusco si inserisce nelle contraddizioni che caratterizzano il sistema con cui i beni sequestrati alla mafia vengono gestiti. In precedenza se ne occupava il Demanio poi , dal 2011, è arrivata l’Anbsc. Ma come afferma l’avvocato Cortesi, “l’agenzia ha un grande compito, ma poche risorse. Per esempio anche noi legali – conclude – abbiamo difficoltà a sapere con certezza quando saremo pagati”.