È sempre colpa della Germania. In nessun altro Paese europeo la Germania è attualmente tanto odiata quanto in Italia, mia patria d’adozione. Un faccia a faccia personale.
Di Petra Reski
Era un giorno della piovosa primavera del 1991, mi ero appena trasferita a Venezia e volevo inviare una lettera. Allo sportello dell’ufficio postale di Piazza San Marco sedeva un’impiegata che non alzò lo sguardo quando spinsi sotto al vetro dello sportello la mia lettera verso di lei, ma continuò a parlare con la sua collega. Alla fine si girò, diede un’occhiata all’indirizzo sulla mia lettera, ticchettò sul mio non meglio precisato “Germania” ed emise un verso che sembrava un brontolio. “Est o Ovest?” Chiese. “Sud”, dissi. “E?” Chiese lei. “Monaco”, spiegai, “la lettera deve andare a Monaco di Baviera e Monaco di Baviera si trova nel sud della Germania”. Non volevo davvero essere polemica e che la Germania fosse di nuovo unita in quel momento mi era persino sfuggito di mente. Ma alla presenza di questa impiegata dagli occhi grigi improvvisamente mi sentii del tutto riunita e mi ritrovai a dire: “In realtà adesso fa lo stesso. Est ed ovest non ci sono più”.
L’impiegata allo sportello mi guardò come si guarderebbe un mozzicone di matita prima di gettarlo via. Poi si piegò così vicino al vetro dello sportello da farlo appannare con il respiro. E disse a voce così alta da farsi sentire perfino dalle ultime persone in coda: “Ma non crederà mica di riavere la sua grande Germania solo perché il muro è caduto.”
In seguito a ciò nella sala dell’ufficio postale di Piazza San Marco sarebbe quasi scoppiata una rivolta. Tutti che difendevano me e la mia Germania e accusavano l’impiegata allo sportello di essere una vecchia comunista, dicendole che persino la posta in Botswana era più efficiente di quella italiana.
Fino a poco tempo fa quella era stata l’unica volta in cui avevo respirato sentimenti antitedeschi in Italia, altrimenti, appena si veniva a sapere che sono tedesca, gli altri esclamavano: “Ah, la Germania”. Con “Ah, la Germania” gli italiani lodavano l’efficienza della ferrovie tedesche, la coscienza ecologica, il senso civico e l’intransigenza dei tedeschi nei confronti dei loro rappresentanti politici (un ministro diede le dimissioni a causa di un falso dottorato! Un presidente dimesso per un pernottamento pagatogli da un amico! Una cancelliera che arriva ad Ischia in aliscafo e non in elicottero!) Dopo tanti anni in Italia avrei continuato a sentirmi la prima della classe se non si fosse abbattuta su di noi la crisi dell’euro che mi ha riportata alla realtà. E tale realtà si percepisce nuovamente in Italia come se si fosse a ridosso dello scoppio della Prima guerra mondiale.

La crisi dell’euro in Italia è anzitutto una crisi della Germania. Non solo negli universi paralleli di Facebook e Twitter trova la sua massima fioritura un nuovo revanscismo, ma anche sulla stampa italiana vengono riesumati e disseminati qua e là concetti come “umiliazione” contro “dignità”, “ricatto” contro “libertà”. Luigi Zingales su L’Espresso mette in guardia dalla Germania come “Quarto Reich”, insieme ai suoi “stati satellite” (Finlandia, Paesi Bassi, Belgio e Austria). Il Corriere della Sera accusa la Germania di “feticismo delle regole”, alla radio gli attacchi di Berlusconi ad Angela Merkel (“culona”) e contro l’allora eurodeputato Martin Schulz (“kapò”) vengono improvvisamente salutati come lungimiranza politica, e alle feste popolari si può fare il tiro a segno con le foto di Angela Merkel in divisa da SS. Non avevo mai visto gli italiani tanto uniti in un Paese da sempre attraversato da profondi conflitti. La crisi economica perdurante, la costrizione al rigore – in caso di dubbio la colpa è sempre della “Grande Germania”, della signora Merkel e del dottor Schäuble. Ma com’è potuto accadere?
Fino a pochi anni fa, gli italiani non solo pronunciavano con fervore Ah, la Germania, ma erano anche i più ardenti sostenitori dell’Europa: solo l’Europa può salvarci, dicevano. Salvare dalla mafia, da una casta politica corrotta, dal nepotismo nei servizi pubblici, da un tasso di disoccupazione giovanile al 42 per cento e per una stampa libera che è messa peggio soltanto in Mongolia e Bulgaria. Gli italiani non chiedevano meno, ma più Europa, perché l’Europa allora non era un teorema dell’alta finanza, ma sinonimo di libertà, democrazia e diritti umani.
E’ stato così finché i partiti italiani non hanno deciso di sfruttare a proprio favore il debole che gli italiani avevano per l’Europa. Il debole per l’Europa si è così trasformato nella clava dell’Europa. Ogni volta che i cittadini italiani devono accettare una legge particolarmente assurda, viene detto loro: ce lo chiede l’Europa! Come ad esempio vietare i bricchetti dell’olio (5000 euro di multa se l’olio di oliva al tavolo del ristorante non viene servito in bottiglia, ma in caraffa di vetro) o limitare le intercettazioni telefoniche. Non appena il protocollo delle intercettazioni telefoniche inguaia la casta politica, si sfruttano oscure norme europee sulla tutela della privacy per punire le intercettazioni.
Lo spettro della Germania distoglie l’attenzione dai veri problemi
Mentre ciò che l’Europa chiede all’Italia resta immutato – ad esempio la riduzione della durata assurdamente lunga dei processi (10 anni) – vengono svenduti i beni culturali e si risparmia in modo massiccio nei settori dell’istruzione pubblica e della sanità (“È l’Europa che ce lo chiede!”). Rimangono inoltre intoccati i privilegi degli strapagati parlamentari italiani che, come gli alti funzionari statali, godono dei benefici di uno Stato altamente indebitato ed hanno diritto a ricche pensioni a vita, anche dopo mandati di breve durata.
Nel corso degli anni gli italiani hanno constatato che i fondi per lo sviluppo dell’Ue non sono finiti nelle loro tasche, ma in quelle della mafia e dei politici collusi con i mafiosi. L’Agenda 2000, il programma di aiuti che aveva come fine il “superamento degli squilibri tra le regioni”, ha stimolato il loro appetito. La mafia mantiene il Sud in uno stato di sottosviluppo artificialmente indotto, senza il quale non verrebbero più stanziati fondi e nessuno elemosinerebbe più un lavoro ai boss. Per tale ragione, a dispetto di qualsiasi programma europeo di sviluppo, nel Sud Italia regna invariata la disoccupazione più alta, si rileva la quota più elevata di lavoro nero e si registra un prodotto interno lordo che è del 53% inferiore a quello dell’Italia centrale e settentrionale. Ciò che iniziò con l’Agenda 2000 ha trovato il suo culmine nei nuovi settori di affari della mafia: lo smaltimento dei rifiuti, l’assistenza ai profughi e l’impiego delle energie rinnovabili. L’Europa ha arricchito la mafia. L’unico ad averlo però affermato all’interno del Parlamento europeo non è stato Berlusconi o l’amico delle banche Mario Monti né lo sfortunato Enrico Letta e tantomeno l’ex Presidente Napolitano o Matteo Renzi, autodefinitosi “rottamatore”, ma il “populista da sommossa”, il “fondamentalista dell’opposizione” e “clown” Beppe Grillo. Fu lui alcuni anni fa a rivolgere addirittura ai tedeschi su questo stesso giornale l’appello: “Vi prego, conquistateci!”
I pesanti attacchi della stampa tedesca ai greci non sono passati inosservati nemmeno in Italia e ricordano gli attacchi già rivolti in passato al Movimento 5 stelle, il partito di Grillo che, come hanno confermato recentemente le elezioni comunali, è pur sempre la seconda forza politica in Italia. Sulla stampa tedesca non ci si può immaginare niente di peggio di Grillo e del suo Movimento 5 stelle, fatta eccezione forse per gli antisemiti ungheresi. Da decenni in Germania si racconta la favola di un Paese che da un lato è fortemente indebitato e dilaniato dalla mafia, ma che dall’altro ha prodotto coraggiosi politici di sinistra che combattono strenuamente ma senza successo la mafia e il cattivissimo Berlusconi “bunga bunga”. Che i compagni di partito di Renzi siano collusi con la mafia quanto il partito di Berlusconi e i suoi cloni e che Renzi non abbia rottamato altro che le proprie promesse, non fa però notizia in Germania. Ma se alla fine gli italiani dovessero avere l’idea di votare per un partito diverso da quello con il quale in Germania ci si è accordati da tempo, allora il rubinetto verrebbe chiuso. La politica europea funziona così. Per lo meno questo è ciò che l’esempio greco sembra insegnare. Non deve quindi meravigliare che in Italia lo spettro tedesco ben si adatti a distrarre dai problemi reali. Come dire, in pratica non ci sono alternative!
Un po’ di arroganza e supponenza in meno a noi tedeschi non nuocerebbe e all’occorrenza anche un’ottica che non sia obbligatoriamente quella del portavoce del governo tedesco. Io personalmente mi impegno con tutte le forze per migliorarmi, anche se l’italiano che vive al mio fianco sostiene che io abbia a volte ancora la tendenza a voler avere ragione ad ogni costo. Il che naturalmente è del tutto esagerato. In ogni caso, per quanto riguarda le Poste italiane… Una volta che al posto di un pacchetto con i panpepati di Norimberga speditomi da mia zia Ruth, ricevetti un numero verde del servizio di assistenza, per tre giorni non feci altro che chiamare il servizio clienti delle poste. L’italiano che vive al mio fianco mi disse: “Lascia perdere! Ti compro io qualche pasticcino”, e io risposi: “Non voglio nessun pasticcino, voglio che il mio pacchetto mi sia regolarmente recapitato.” Al che l’italiano aggiunse inorridito: “Tu sei proprio tedesca!” Al termine di una battaglia durata una settimana il pacchetto finalmente arrivò, nuovamente risigillato. Al suo interno non c’era più il panpepato, ma una raccolta di arie di opere italiane.
Articolo originale di Petra Reski apparso su ZeitONLINE il 27 agosto 2015
Traduzione di Silvano Zais e Cristina Bianchi per ItaliaDallEstero.info
ItaliaDallEstero
Come ci vede la stampa estera
Mondo - 7 Novembre 2015
Germania, secondo gli italiani è sempre colpa dei tedeschi
È sempre colpa della Germania. In nessun altro Paese europeo la Germania è attualmente tanto odiata quanto in Italia, mia patria d’adozione. Un faccia a faccia personale.
Di Petra Reski
Era un giorno della piovosa primavera del 1991, mi ero appena trasferita a Venezia e volevo inviare una lettera. Allo sportello dell’ufficio postale di Piazza San Marco sedeva un’impiegata che non alzò lo sguardo quando spinsi sotto al vetro dello sportello la mia lettera verso di lei, ma continuò a parlare con la sua collega. Alla fine si girò, diede un’occhiata all’indirizzo sulla mia lettera, ticchettò sul mio non meglio precisato “Germania” ed emise un verso che sembrava un brontolio. “Est o Ovest?” Chiese. “Sud”, dissi. “E?” Chiese lei. “Monaco”, spiegai, “la lettera deve andare a Monaco di Baviera e Monaco di Baviera si trova nel sud della Germania”. Non volevo davvero essere polemica e che la Germania fosse di nuovo unita in quel momento mi era persino sfuggito di mente. Ma alla presenza di questa impiegata dagli occhi grigi improvvisamente mi sentii del tutto riunita e mi ritrovai a dire: “In realtà adesso fa lo stesso. Est ed ovest non ci sono più”.
L’impiegata allo sportello mi guardò come si guarderebbe un mozzicone di matita prima di gettarlo via. Poi si piegò così vicino al vetro dello sportello da farlo appannare con il respiro. E disse a voce così alta da farsi sentire perfino dalle ultime persone in coda: “Ma non crederà mica di riavere la sua grande Germania solo perché il muro è caduto.”
In seguito a ciò nella sala dell’ufficio postale di Piazza San Marco sarebbe quasi scoppiata una rivolta. Tutti che difendevano me e la mia Germania e accusavano l’impiegata allo sportello di essere una vecchia comunista, dicendole che persino la posta in Botswana era più efficiente di quella italiana.
Fino a poco tempo fa quella era stata l’unica volta in cui avevo respirato sentimenti antitedeschi in Italia, altrimenti, appena si veniva a sapere che sono tedesca, gli altri esclamavano: “Ah, la Germania”. Con “Ah, la Germania” gli italiani lodavano l’efficienza della ferrovie tedesche, la coscienza ecologica, il senso civico e l’intransigenza dei tedeschi nei confronti dei loro rappresentanti politici (un ministro diede le dimissioni a causa di un falso dottorato! Un presidente dimesso per un pernottamento pagatogli da un amico! Una cancelliera che arriva ad Ischia in aliscafo e non in elicottero!) Dopo tanti anni in Italia avrei continuato a sentirmi la prima della classe se non si fosse abbattuta su di noi la crisi dell’euro che mi ha riportata alla realtà. E tale realtà si percepisce nuovamente in Italia come se si fosse a ridosso dello scoppio della Prima guerra mondiale.
La crisi dell’euro in Italia è anzitutto una crisi della Germania. Non solo negli universi paralleli di Facebook e Twitter trova la sua massima fioritura un nuovo revanscismo, ma anche sulla stampa italiana vengono riesumati e disseminati qua e là concetti come “umiliazione” contro “dignità”, “ricatto” contro “libertà”. Luigi Zingales su L’Espresso mette in guardia dalla Germania come “Quarto Reich”, insieme ai suoi “stati satellite” (Finlandia, Paesi Bassi, Belgio e Austria). Il Corriere della Sera accusa la Germania di “feticismo delle regole”, alla radio gli attacchi di Berlusconi ad Angela Merkel (“culona”) e contro l’allora eurodeputato Martin Schulz (“kapò”) vengono improvvisamente salutati come lungimiranza politica, e alle feste popolari si può fare il tiro a segno con le foto di Angela Merkel in divisa da SS. Non avevo mai visto gli italiani tanto uniti in un Paese da sempre attraversato da profondi conflitti. La crisi economica perdurante, la costrizione al rigore – in caso di dubbio la colpa è sempre della “Grande Germania”, della signora Merkel e del dottor Schäuble. Ma com’è potuto accadere?
Fino a pochi anni fa, gli italiani non solo pronunciavano con fervore Ah, la Germania, ma erano anche i più ardenti sostenitori dell’Europa: solo l’Europa può salvarci, dicevano. Salvare dalla mafia, da una casta politica corrotta, dal nepotismo nei servizi pubblici, da un tasso di disoccupazione giovanile al 42 per cento e per una stampa libera che è messa peggio soltanto in Mongolia e Bulgaria. Gli italiani non chiedevano meno, ma più Europa, perché l’Europa allora non era un teorema dell’alta finanza, ma sinonimo di libertà, democrazia e diritti umani.
E’ stato così finché i partiti italiani non hanno deciso di sfruttare a proprio favore il debole che gli italiani avevano per l’Europa. Il debole per l’Europa si è così trasformato nella clava dell’Europa. Ogni volta che i cittadini italiani devono accettare una legge particolarmente assurda, viene detto loro: ce lo chiede l’Europa! Come ad esempio vietare i bricchetti dell’olio (5000 euro di multa se l’olio di oliva al tavolo del ristorante non viene servito in bottiglia, ma in caraffa di vetro) o limitare le intercettazioni telefoniche. Non appena il protocollo delle intercettazioni telefoniche inguaia la casta politica, si sfruttano oscure norme europee sulla tutela della privacy per punire le intercettazioni.
Lo spettro della Germania distoglie l’attenzione dai veri problemi
Mentre ciò che l’Europa chiede all’Italia resta immutato – ad esempio la riduzione della durata assurdamente lunga dei processi (10 anni) – vengono svenduti i beni culturali e si risparmia in modo massiccio nei settori dell’istruzione pubblica e della sanità (“È l’Europa che ce lo chiede!”). Rimangono inoltre intoccati i privilegi degli strapagati parlamentari italiani che, come gli alti funzionari statali, godono dei benefici di uno Stato altamente indebitato ed hanno diritto a ricche pensioni a vita, anche dopo mandati di breve durata.
Nel corso degli anni gli italiani hanno constatato che i fondi per lo sviluppo dell’Ue non sono finiti nelle loro tasche, ma in quelle della mafia e dei politici collusi con i mafiosi. L’Agenda 2000, il programma di aiuti che aveva come fine il “superamento degli squilibri tra le regioni”, ha stimolato il loro appetito. La mafia mantiene il Sud in uno stato di sottosviluppo artificialmente indotto, senza il quale non verrebbero più stanziati fondi e nessuno elemosinerebbe più un lavoro ai boss. Per tale ragione, a dispetto di qualsiasi programma europeo di sviluppo, nel Sud Italia regna invariata la disoccupazione più alta, si rileva la quota più elevata di lavoro nero e si registra un prodotto interno lordo che è del 53% inferiore a quello dell’Italia centrale e settentrionale. Ciò che iniziò con l’Agenda 2000 ha trovato il suo culmine nei nuovi settori di affari della mafia: lo smaltimento dei rifiuti, l’assistenza ai profughi e l’impiego delle energie rinnovabili. L’Europa ha arricchito la mafia. L’unico ad averlo però affermato all’interno del Parlamento europeo non è stato Berlusconi o l’amico delle banche Mario Monti né lo sfortunato Enrico Letta e tantomeno l’ex Presidente Napolitano o Matteo Renzi, autodefinitosi “rottamatore”, ma il “populista da sommossa”, il “fondamentalista dell’opposizione” e “clown” Beppe Grillo. Fu lui alcuni anni fa a rivolgere addirittura ai tedeschi su questo stesso giornale l’appello: “Vi prego, conquistateci!”
I pesanti attacchi della stampa tedesca ai greci non sono passati inosservati nemmeno in Italia e ricordano gli attacchi già rivolti in passato al Movimento 5 stelle, il partito di Grillo che, come hanno confermato recentemente le elezioni comunali, è pur sempre la seconda forza politica in Italia. Sulla stampa tedesca non ci si può immaginare niente di peggio di Grillo e del suo Movimento 5 stelle, fatta eccezione forse per gli antisemiti ungheresi. Da decenni in Germania si racconta la favola di un Paese che da un lato è fortemente indebitato e dilaniato dalla mafia, ma che dall’altro ha prodotto coraggiosi politici di sinistra che combattono strenuamente ma senza successo la mafia e il cattivissimo Berlusconi “bunga bunga”. Che i compagni di partito di Renzi siano collusi con la mafia quanto il partito di Berlusconi e i suoi cloni e che Renzi non abbia rottamato altro che le proprie promesse, non fa però notizia in Germania. Ma se alla fine gli italiani dovessero avere l’idea di votare per un partito diverso da quello con il quale in Germania ci si è accordati da tempo, allora il rubinetto verrebbe chiuso. La politica europea funziona così. Per lo meno questo è ciò che l’esempio greco sembra insegnare. Non deve quindi meravigliare che in Italia lo spettro tedesco ben si adatti a distrarre dai problemi reali. Come dire, in pratica non ci sono alternative!
Un po’ di arroganza e supponenza in meno a noi tedeschi non nuocerebbe e all’occorrenza anche un’ottica che non sia obbligatoriamente quella del portavoce del governo tedesco. Io personalmente mi impegno con tutte le forze per migliorarmi, anche se l’italiano che vive al mio fianco sostiene che io abbia a volte ancora la tendenza a voler avere ragione ad ogni costo. Il che naturalmente è del tutto esagerato. In ogni caso, per quanto riguarda le Poste italiane… Una volta che al posto di un pacchetto con i panpepati di Norimberga speditomi da mia zia Ruth, ricevetti un numero verde del servizio di assistenza, per tre giorni non feci altro che chiamare il servizio clienti delle poste. L’italiano che vive al mio fianco mi disse: “Lascia perdere! Ti compro io qualche pasticcino”, e io risposi: “Non voglio nessun pasticcino, voglio che il mio pacchetto mi sia regolarmente recapitato.” Al che l’italiano aggiunse inorridito: “Tu sei proprio tedesca!” Al termine di una battaglia durata una settimana il pacchetto finalmente arrivò, nuovamente risigillato. Al suo interno non c’era più il panpepato, ma una raccolta di arie di opere italiane.
Articolo originale di Petra Reski apparso su ZeitONLINE il 27 agosto 2015
Traduzione di Silvano Zais e Cristina Bianchi per ItaliaDallEstero.info
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“Lavori dequalificati e invisibili? Quasi sempre alle donne. Così il loro sciopero può bloccare la società”. Poche operaie e pagate meno degli uomini – i dati
Città del Vaticano, 8 mar. - (Adnkronos) - Papa Francesco, dopo aver trascorso una notte tranquilla, prosegue le terapie per curare la polmonite bilaterale e la fisioterapia motoria. Lo fa sapere oggi 8 marzo la Sala stampa del Vaticano nel consueto aggiornamento della mattina sulle condizioni di salute del Pontefice, ricoverato al Gemelli dallo scorso 14 febbraio per una polmonite bilaterale.
Ieri i medici non hanno diramato alcun bollettino. L’aggiornamento tornerà stasera. La Sala stampa del Vaticano ieri ha comunque fatto sapere che le condizioni cliniche erano rimaste stabili pure in un quadro complesso per cui la prognosi resta riservata.
Intanto si va verso la quarta domenica nella quale l'Angelus domenicale del Papa sarà solo con il testo scritto. Lo fa sapere la Sala stampa vaticana che spiega che l'Angelus - per la quarta domenica di fila - dovrebbe avvenire in linea di massima come accaduto le altre domeniche con il testo solo scritto del Papa.
Domani poi - alle 10.30 - il cardinale Michael Czerny celebrerà la messa per il Giubileo del mondo del volontariato e leggerà il testo di un'omelia preparata dal Pontefice.
Ieri è arrivato un messaggio a sorpresa di Papa Francesco. Un audio con la voce del Ponteficeè stato diffuso nella serata di oggi 6 marzo in piazza San Pietro, dove i fedeli erano riuniti in preghiera. "Ringrazio di cuore per le vostre preghiere per la mia salute dalla Piazza, vi accompagno da qui. Che Dio vi benedica e che la Vergine vi custodisca. Grazie", le parole del Papa nel messaggio pronunciato con voce flebile e sofferente (Ascolta).
Ancona , 8 mar. (Adnkronos) - "Dobbiamo investire garantendo al contempo che la transizione verde sia sostenibile per le imprese e per le nostre comunità". Lo ha affermato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, intervenendo al convegno organizzato da Forza Italia ad Ancona, 'Le radici cristiane. Il futuro dell'Europa'.
Ancona, 8 mar. (Adnkronos) - "Se l'Europa vuole essere protagonista deve agire con unità e determinazione: questo significa investire in difesa, potenziarne la spesa, per puntare a mobilitare risorse che rafforzino la nostra sicurezza e la collaborazione con la Nato". Lo ha affermato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, intervenendo al convegno organizzato da Forza Italia ad Ancona 'Le radici cristiane. Il futuro dell'Europa'.
Hiroshima, 8 mar. (Adnkronos) - "La Repubblica italiana condanna fermamente queste derive pericolose" di chi come la Federazione Russa minaccia il ricorso alle armi nucleari. "Roma riconosce l'urgenza di un'azione condivisa che coinvolga necessariamente tutte le potenze nucleari, con profonda consapevolezza continuiamo a sostenere questi processi e le attività delle organizzazioni internazionali: non è, come qualcuno vorrebbe pretendere, un confronto tra illuse anime belle e realisti, bensì tra le ragioni della vita e le ragioni della morte, tra le ragioni della pace e quelle dello scontro". Lo ha affermato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incontrando ad Hiroshima l'Associazione dei sopravvissuti ai bombardamenti nucleari.
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - "In occasione dell’8 marzo desidero rivolgere la mia riconoscenza e la mia gratitudine a tutte le donne. Da sempre, il loro ruolo e il loro contributo nella società risultano fondamentali per la crescita e lo sviluppo della Nazione. Molto è stato fatto in questi anni per ridurre le differenze culturali e salariali con gli uomini, per bandire una inaccettabile mentalità retrograda che seppur a fatica la nostra società sta finalmente debellando. Ciononostante, molto dobbiamo ancora fare per arrivare ad una vera parità di diritti". Lo scrive su Facebook il presidente del Senato, Ignazio La Russa.
"Il rispetto delle donne, inoltre, non può e non deve mai -aggiunge- limitarsi a parole di circostanza durante una seppur importante ricorrenza, ma è fondamentale un quotidiano impegno di tutti: dalle istituzioni fino al singolo, passando per le scuole e le famiglie. Il mio deferente e commosso pensiero, infine, va alle tante, troppe donne rimaste vittime di femminicidi e alle loro famiglie che portano nel cuore il dolore di questa perdita".
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - "Oggi celebriamo la Giornata internazionale della donna, un momento di riflessione e di impegno per contrastare le tante disuguaglianze che ancora attraversano la nostra società e che penalizzano in modo particolare le donne, soprattutto nel mondo del lavoro. Le disparità salariali, le difficoltà di accesso ai ruoli di vertice e il mancato riconoscimento di diritti fondamentali, come quello all’autodeterminazione sul proprio corpo, rappresentano ostacoli per moltissime donne. Quelle donne che la prima presidente del Consiglio donna continua a ignorare". Lo afferma Chiara Braga, capogruppo del Pd alla Camera.
“Il Partito democratico –aggiunge- è in prima linea con le proprie proposte che vanno in questa direzione: dal salario minimo per garantire un lavoro dignitoso e meno precario, all’aumento della disponibilità degli asili nido e di una sanità di qualità su tutto il territorio nazionale, fino all’introduzione dei congedi parentali paritari e obbligatori per entrambi i genitori. Sono interventi necessari per permettere alle donne di conciliare davvero i tempi di vita e di lavoro e migliorare la qualità della vita di tutti".
“Dobbiamo agire con determinazione -conclude Braga- per contrastare ogni forma di violenza di genere. Per questo, ci impegniamo a modificare la legge introducendo il principio del consenso come elemento fondamentale nel reato di violenza sessuale. È una battaglia di civiltà che non possiamo più rimandare. La giornata dell’8 marzo non è solo una celebrazione, ma un’occasione per rinnovare un impegno quotidiano. Il Partito democratico continuerà a lavorare dentro e fuori le istituzioni per una società più giusta, equa e libera da ogni discriminazione di genere”.
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - “L’8 marzo non è una ritualità da calendario, ma un giorno in cui dobbiamo fare il punto su come lavorare, senza sosta, per risolvere la questione femminile. Il Governo, proprio ieri, ha approvato un ddl che sancisce il femminicidio reato autonomo. Si tratta di un’innovazione normativa importante, per la dignità delle donne. Per noi si tratta di un valore universale, da applicare in tutte le dimensioni della vita. Dalla garanzia di sicurezza fino alla piena inclusione sociale, in condizioni di parità rispetto agli uomini. E anche alla piena possibilità di esprimersi. Per questo il nostro pensiero oggi va a quelle donne cui, sotto regimi autoritari, viene negato il diritto allo studio, il diritto di svolgere alcuni lavori o di poter sposare chi vogliono. La comunità internazionale non deve mai dimenticarsi di loro”. Così in una nota la deputata Deborah Bergamini, vicesegretario nazionale di Forza Italia.