Vorrei che, per un attimo, ci soffermassimo su queste notizie: “Omicidio di Mario Rossi, si indaga nel mondo eterosessuale”, “Morte di Maria Verdi, si segue la pista dell’ambiente etero”, “Infanticidio del piccolo Luigi Bianchi, l’omicida aveva una relazione con una donna”. Come credo sia chiaro, i titoli in questione sono inventati. Di certo hanno un qualcosa di eccentrico, per non dire assurdo. Cosa serve, ai fini della comunicazione, sapere l’orientamento sessuale del potenziale omicida? Nessuno, ovviamente. Eppure è ciò che succede quando la vittima di un delitto è un gay o presunto tale. La titolazione segue quasi una regola taciuta, ma precisa, per cui il reato si lega a doppia mandata alla (presunta) sessualità della vittima.
È notizia di ieri quella dell’uomo trovato senza vita nel quartiere San Lorenzo, a Roma. Repubblica riportava l’accaduto, commentando: “Si indaga anche nel mondo omosessuale”. Cosa significhi questo è poco chiaro. Cosa si intende, in primis, con tale dicitura? Tutto il mondo delle persone Lgbt, da quello delle associazioni ai circuiti ricreativi, passando dalla moltitudine di individui che non si riconoscono nelle prime e che non frequentano le discoteche? Si intende una specifica categoria di gay e, se sì, quale? Ma andiamo avanti e sul Corriere scopriamo che le “indagini puntano a omicidio gay”. Artificio linguistico mai applicato per quei casi in cui l’omicida non è riconducibile a una minoranza qualsiasi. Pensiamo per un attimo al tragico caso di Cogne: se vogliamo capire fino in fondo il paradosso della cosa, i giornali avrebbero dovuto specificare che si è consumato in una famiglia eterosessuale.
Questo tipo di procedimento linguistico parte dal presupposto dell’omosessualità come condizione malsana. Personalmente credo che sia un procedimento inconscio per chi vi ricorre, il più delle volte, ma non meno pericoloso per la minoranza in questione. Gli articoli citati chiamano in causa l’intero mondo delle persone Lgbt e lo legano al crimine. Nel “mondo omosessuale”, in quanto tale, ci sarebbero i germi della delinquenza. Approccio lombrosiano, che però non corrisponde al vero. Sarebbe stato più corretto ipotizzare, qualora si tratti di questo, di un omicidio legato al mondo degli incontri occasionali (forse a pagamento), che sono altra cosa. Non è una condizione legata al proprio modo di essere – ed essere gay, nello specifico – che porta alla morte (subita o procurata). Semmai è uno specifico comportamento ad essere a rischio. Sempre ammesso che siano queste le cause reali del delitto di San Lorenzo.
Molti tra i media legano, invece, i fatti di cronaca nera alla specifica condizione dell’essere gay, regalandoci certe perle e i soliti “orrori” linguistici come quelli già visti il cui uso e riutilizzo stratifica, in chi legge, l’inconscia convinzione che il famigerato “ambiente gay” sia di per sé un ambiente losco, avvezzo al crimine e a sfondo sessuale. Tale atteggiamento crea ulteriori pregiudizi nella mente del lettore più ingenuo o con riferimenti culturali meno solidi. E ciò potrebbe portare a ulteriori discriminazioni di cui si fa volentieri a meno. Preoccupa, infine, che i due maggiori quotidiani nazionali siano – e si spera in modo non voluto – propagatori di diffidenza contro una categoria di persone. Oltre a mettere in discussione la professionalità delle testate in questione quando trattano tematiche così delicate.