Attorno alla tomba c‘erano tutti. Chi non è mai partito e chi ha giurato di partire. Chi è stato in carcere e chi sopravvive per abitudine. I finti ammalati e coloro a cui si è pagato un paio di volte il ritorno a casa. Assicurano che sono appena arrivati e hanno smarrito il documento d’identità il giorno dopo. C’erano tutti per Benjamin che è nato a Monrovia. Era il 1978, due anni prima del colpo di Stato di Samuel Doe. Attorno a lui, nel feretro, sono venuti i liberiani per salutarne il viaggio di sola andata. Si è spento all’improvviso come una foglia che il vento si diverte a far danzare senza direzione. L’Harmattan è appena cominciato e la sabbia fine del vento seduce le foglie degi alberi che resistono a Niamey. Il cimitero è un povero cristo assediato dal vento e dai migranti che si non si stancano di imbrogliarne il viaggio.
La stagione delle piogge è anch’essa sepolta, per quest’anno. C’è il vento caldo e secco dell’est, vento del deserto. L’Harmattan che soffia alle spalle dei migranti che tornano. Lo scirocco va invece verso l’alto e spinge il mare. E’ un vento caldo che attraversa il Mediterraneo su una barca. Benjamin ha lasciato un documento che porta timbri e firme di consoli onorari posticci. Lo stesso giorno e anno nel Ghana e in Uganda. Per errore o per scelta il documento è plastificato per l’autodifesa.Il ritorno dal Sudan rimonta ormai a un paio di mesi. Commerciante con gli anni e il tempo da vendere tra le guerre nel suo paese. Un paio di canti e il salmo del buon pastore che conduce il gregge a verdi pascoli. Lo sapevano a memoria perché da anni li cercano. E allora continuano a sperare che dopo l’altra collina di sabbia appaiano.
Una morte improvvisata a 37 anni, se la data di nascita era quella giusta. I compagni c’erano tutti. Vestiti d’occasione e alcune donne con l’abito a fiori e le labbra dipinte dei colori della Liberia. Il furgone col feretro e un paio di taxi come scorta. C’è un bambino che fa scendere la corda del posto di blocco della polizia. Per il cimitero cristiano la cassa da morto è una garanzia riconosciuta. Un cartello ne indica sulla destra la direzione a qualche centinaio di metri dalla strada principale. Si apre a mano la porta metallica e nell’apposito atrio incomincia la preghiera. Il silenzio dei canti d’occasione è interrotto dai ricordi e dal cellulare che squilla dalla Liberia. La famiglia di Benjamin assiste alla sepoltura in diretta con immagini in primo piano del volto suo, lasciato scoperto per l’ultima volta. Poi comincia a scendere la sabbia.
Il lasciapassare di Benjamin porta il timbro di Kampala, in Uganda. L’improbabile console onorario col timbro della Liberia, la nave con la scritta che l’amore della libertà ci ha portati qui. Erano i figli degli schiavi ormai liberi di imprigionare gli altri. Avrebbe dovuto raggiungere il paese entro tre mesi, per essere in regola col documento. I tempi dei migrani si contano con anni e non con mesi o settimane. Le ore, poi, passano ad aspettare l’occasione che si presenterà, forse, l’anno successivo. Sono pazienti e sanno bene che nulla dipende da loro. Di certo è quando Dio vorrà e se c’è da tornare allora si sarà più fortunati la volta successiva. Solo che i mesi di Benjamin sono passati presto, troppo in fretta e lui si è trovato a Niamey. Nell’ospedale nazionale, per la cella frigorifera, gli stranieri pagano il doppio dei locali. La morte è la stessa.
Caldo di giorno e fresco la notte. Malanni per le vie respiratorie dei vecchi, bambini e migranti che dormono da qualche parte.L’Harmattan soffia dolce. Benjamin ha trovato un posto stabile nel nuovo cimitero cristiano. Quelle dei migranti sono tombe di terra. Accanto, nella stessa zona popolare, ci quelle rivestite in cemento. Poco lontano, ma separate da un sentiero, ci sono le tombe più ricche ornate di piastrelle azzurro mare. Il vento, lui, è uguale per tutti come la sabbia che ricopre leggera i nomi. Sono pitturati in bianco su sfondo nero della lamiera saldata alla croce. Il legno durerebbe poco con le termiti e gli sbalzi termici. La sua non era ancora pronta ma sarà questione di giorni. Saranno le foglie, abbracciate dal vento, a fargli compagnia.
Niamey, novembre 015