Proprio sul circuito spagnolo, nel 2006, per la prima volta il Dottore capisce di non essere invincibile. In prova vola con la sua Yamaha. Ma alla partenza scivola e il Motomondiale va ad Hayden. Oggi la storia si ripete, nonostante la bella rimonta
Una vita in sella, il cui racconto comincia dal GP di Valencia, ma di nove anni fa. E’ l’ultima gara della stagione 2006 della MotoGp, e Valentino Rossi è in testa alla classifica del Motomondiale con un buon vantaggio su Nicky Hayden. In prova Valentino vola con la sua Yamaha, ottiene la pole e tutto lascia pensare che la conquista dell’ottavo titolo iridato sia una pura formalità. Ma così non è. Pronti via e Valentino scivola in curva finendo fuori pista, si rialza subito, si rimette cavalcioni della moto e riparte, ma non basta: arriva tredicesimo sul traguardo e Hayden, che arriva terza dietro al vincente Troy Bayliss che compie un miracolo sulla Ducati, è campione del mondo con la Honda. E’ nel GP di Valencia di nove anni fa che, per la prima volta forse, Valentino Rossi capisce che non è invincibile, che nulla sarà più come prima. Perché se dopo quella gara si riprende e continua a macinare record, fino a quel giorno la carriera del ragazzo di Tavullia ha rasentato la perfezione assoluta.
Figlio di un pilota, Graziano, da piccolo eccelle sui kart e la sua strada sembra segnata dalle quattro ruote, fino a quando non scopre che va da dio anche con due. E’ un crescendo rossiniano. Dopo avere fatto incetta di titoli nelle categorie minori, a 17 anni esordisce nella classe 125 con una vittoria in Repubblica Ceca, e il secondo anno, con il passaggio al team ufficiale dell’Aprilia sulla RS, vince il mondiale. Uguale nella 250, il primo anno studia e il secondo insegna e si porta a casa il titolo di campione. Stessa solfa in 500, dove passa alla Honda, comincia con un secondo posto e l’anno dopo è di nuovo primo. E’ il 2001, ed è ufficialmente nata una stella. Nell’Italia dei Guelfi e dei Ghibellini, dei Coppi e dei Bartali, vince la sfida con l’altra metà del paese arrivando a oscurare, anche mediaticamente, l’astro di Max Biaggi. Sono i tempi di una rivalità vera: i due arrivano a prendersi a pugni. Valentino diventa uno degli sportivi più famosi al mondo, e tra più richiesti dalla pubblicità e dal mondo dello spettacolo.
I travestimenti, i costumi da supereroe, le scoppiettanti conferenze stampa, gli scherzi da buontempone, uniti alle strabilianti prove in pista, ne fanno un personaggio da copertina. Giocando sulla banalità di un cognome assai diffuso e di un talento che è di pochi, si autoproclama come un Dottor Rossi qualsiasi, e subito diventa “il” Dottor Rossi in Italia e The Doctor nel mondo. Il numero 46 si trasforma in un marchio, il cui significato sarà per sempre associato a lui. Nel 2002 nasce la MotoGp, e Rossi la domina da par suo per altri quattro campionati consecutivi. I suoi rivali, sverniciati curva dopo curva, si chiamano Biaggi, Capirossi, Barros, Gibernau, Edwards. Le sue moto Honda RC211V nei primi due anni e Yamaha YZR-M1 negli altri due. Ma quello che impressiona è la simbiosi perfetta tra uomo e macchina (la moto) quasi che questa sia una protesi del corpo umano, la Human-Machine Interface, il grado di separazione tra uomo e macchina, si assottiglia fino a sparire: Vale sembra il prodotto dell’immaginazione del regista David Cronenberg. Lui stesso dichiara: “La moto non è solo un pezzo di ferro, anzi, penso che abbia un’anima perché è una cosa troppo bella per non avere un’anima”.
Il mondo del motociclismo, come sempre accade in queste occasioni, è diviso tra chi lo ama e chi lo odia. A nessuno Valentino può essere indifferente. Quello che colpisce è la sua capacità di rimanere sempre allegro e sorridente, quando festeggia con trovate sempre più goliardiche come quando litiga con gli avversari, cui non le manda certo a dire. Tutto questo fino al 2006, fino al GP di Valencia di nove anni fa. Persa quella gara, il film prende una direzione inaspettata. Certo, Valentino vince ancora, e tanto: dopo il terzo posto nel 2007 è di nuovo campione con la Yamaha nel 2008 e nel 2009, ma qualcosa è cambiato. Nuovi avversari come Stoner, Pedrosa e Lorenzo si affacciano in pista, il pilota australiano della Ducati, che lo beffa nel 2007, anni dopo nella sua biografia non avrà parole per nulla tenere nei suoi confronti. Sempre nel 2007 il fisco italiano lo accusa di avere evaso un centinaio di milioni. Valentino consegna una videocassetta ai telegiornali in cui contrattacca senza contradditorio. Il paese, sensibile al tema delle tasse, reagisce male. Valentino si scusa, poi paga. Ma qualcosa si è rotto.
Intendiamoci, Vale continua a vincere, quando nel 2009 fa suo il nono titolo mondiale taglia anche il traguardo delle 100 gare vinte, è l’ennesimo record. Ma le scorie si fanno sentire: l’anno seguente il primo infortunio serio della carriera, poi l’addio alla Yamaha e il passaggio alla Ducati per due anni tribolati e avari di soddisfazione. In mezzo anche l’incidente che risulta mortale per l’amico Marco Simoncelli. Vale non è più il ragazzo sempre allegro e sorridente, comunica poco con la stampa e i tifosi. Una nuova generazione di ragazzini terribili ha preso il potere. Nel 2013 ritorna alla Yamaha, ma l’astro nascente di Marc Marquez lo costringe a essere il rivale e lo sparring partner, non più il protagonista. Fino al 2015, dove i guai di Marquez e di Lorenzo e un ritrovato spirito lo rilanciano in testa alla classifica. Fino al ring di Sepang, fino al GP di Valencia, dove tutto ebbe inizio, nove anni fa.
E dove oggi il cerchio si chiude con una sconfitta che forse brucia sportivamente più di quella del 2006, ma che umanamente ha restituito il sorriso al pilota eterno ragazzino.