La proposta del Financial Stability Board per porre fine ai rischi del fenomeno degli istituti di credito troppo grandi per fallire dovrà essere approvata dai leader del G20 in Turchia la prossima settimana
Oltre mille miliardi di euro di capitale complessivo in più per le 30 grandi banche mondiali sistemiche, inclusa l’italiana Unicredit. Questa la stima del Financial Stability Board (Fsb) sui “cuscinetti” di capitale aggiuntivi per i cosiddetti istituti “troppo grandi per fallire”, in base alle nuove regole che fissano al 2022 un nuovo livello di attività ponderate per il rischio. Così il principale organismo globale per la stabilità finanziaria ritiene si possa porre fine ai rischi del fenomeno degli istituti di credito troppo grandi per fallire (too big to fail) che ha obbligato i governi ad intervenire con soldi dei contribuenti. Le nuove regole dovranno essere approvate dai leader delle venti principali economie del mondo, che si riuniscono in Turchia la prossima settimana.
In dettaglio il Financial Stability Board, ha fissato per le big mondiali il livello di attività ponderate per il rischio al 18% nel 2022, portando il cuscinetto di capitale da 457 miliardi di euro a 1.109 miliardi con una media per singola banca di 26,2 miliardi. La gamma per le singole banche va da un fabbisogno zero fino a un massimo di 124,4 miliardi. Per il 2019 il total loss absorbing capacity (Tlac), ossia la capacità complessiva di assorbimento delle perdite, è invece fissato al 16 per cento. Se si escludono le banche cinesi, le eventuali esigenze di capitale calano in una forchetta che va da 107 a 776 miliardi di euro. Per l’Fsb, “circa la metà delle banche sistemiche” incluse nella lista “sembrano avere a disposizione passività adeguate per soddisfare molti, anche se non tutti, i criteri del requisito Tlac e che danno la possibilità di una conversione in Tlac”.
Con le nuove regole, è la tesi di fondo, le grandi banche sistemiche dovranno avere un cuscinetto di riserva abbastanza consistente da assorbire le perdite dovute a un’eventuale, grave crisi di liquidità e una successiva soluzione senza mettere in crisi l’intero sistema bancario globale. Il costo principale della risoluzione, come prevedono le nuove regole sul bail-in, sarà sostenuto dagli investitori (azionisti, debitori e correntisti) e non dagli Stati e, quindi, i contribuenti. Le nuove regole varranno per i primi 30 istituti di credito globali, quelli con implicazioni sistemiche, tra cui la britannica Hsbc, primo gruppo bancario europeo con ricavi per l’80% esterni all’Europa, JP Morgan Chase (Usa), Deutsche Bank (Germania), Credit Suisse, Mizuho (Giappone), Bank of China entrata nella lista con l’ultima revisione di inizio novembre (che ha visto l’uscita della spagnola Bbva) e, in Italia, appunto, Unicredit.
Per il governatore della Bank of England e presidente del Fsb, Mark Carney, i parametri stabiliti dal Fsb non rappresentano una sorta di Basilea IV, in quanto non implicano nuovi indici di capitale, ma l’attuazione e il rafforzamento delle attuali regole di Basilea III. Di fatto, ha spiegato Carney, il principio base è quello secondo cui le banche devono disporre di tipologie di asset da poter convertire immediatamente in equity qualora si verificassero problemi finanziari, in modo da non pesare sui contribuenti.
“I Paesi devono ora mettere in atto il quadro legislativo e regolamentare per questi strumenti da utilizzare”, ha scritto Carney, governatore di Bank of England e , in una lettera ai leader del G20. “L’organismo sta ancora valutando i rischi per la stabilità finanziaria delle attività dei grandi gestori patrimoniali e pubblicherà raccomandazioni, se necessario, nella prima metà del 2016”, ha aggiunto.