Come altri, ci siamo messi Netflix in casa per vedere l’effetto che fa, distogliendoci in pari misura non dalla tv generalista, ma, come era facilmente prevedibile, dall’on demand di Sky, dove pure continuiamo a tenere d’occhio il cumularsi degli episodi de’ I Soprano e di Tyrant, attendendo il ritorno de’ Il Trono di Spade e di House of Cards.
Alla faccia dei gufi, la prestazione tecnica dell’on demand sul web è finora eccellente, il tempo del download di un episodio è di pochi istanti, la qualità delle immagini più che apprezzabile. Così vanno le cose, almeno a Roma centro. Un vero guazzabuglio ci pare il catalogo che non siamo riusciti a trovare in forma di elenco alfabetico, con trame, protagonisti, regista e anno di realizzazione. Gran disponibilità, invece, di opzioni a priori (action, sentimento, cartoon, eccetera…) nelle quali però non intendiamo affatto rinchiuderci. Ma forse siamo noi che non ce la sappiamo cavare?
Sta di fatto che per iniziare ci siamo affidati al sentito dire con due serie che più diverse non potrebbero essere: Marco Polo e Grace&Frankie. Marco Polo alle spettatrici riempie gli occhi con la sontuosità dei costumi e la prestanza degli interpreti, mentre solletica le fantasie degli spettatori, specie in età pubere, con Kublay Khan e le sue innumerevoli concubine, scelte una per una, dalla amorevole imperatrice, che per di più assiste il consorte nel consumo di questi manicaretti apprestati pensando a lui. Un insuperabile sogno maschilista che a Marco non fa battere ciglio perché lui, si sa, è uomo di mondo.
La seconda serie, Grace& Frankie (Grace è Jane Fonda, dai settanta anni ben mostrati) è, al contrario il frutto maturo di un affermato costume post maschilista, in cui due amiche del cuore, che insieme ai rispettivi consorti formano un quartetto inseparabile, vengono abbandonate dai secondi che iniziano una nuova vita l’uno nelle braccia dell’altro. Costringendo automaticamente alla convivenza le consorti abbandonate. Che però non essendo gay non hanno altra scelta se non riaprirsi alle esperienze sociali, sesso comprese, da tempo abbandonate (supponiamo che il sesso cameratesco degli ex mariti si risolverà nel rilancio vitale delle ex mogli. Questione di ore e lo sapremo). E di certo anche qui Marco Polo, non avrebbe fatto un plissé.
Resta il fatto che Netflix, come ogni “archivio” e a differenza del “canale” non fa da contesto interpretativo a ciò che contiene ed include gli opposti senza sforzo e stridore alcuno. E così sul grande schermo di casa si passa dalle offerte identitarie dei “canali patria” al self service brado. Parafrasando Mc Luhan, il relativismo etico è il messaggio intrinseco a questo mezzo tecnico. Aspettiamo che qualcuno se ne accorga per goderci le conseguenti costernazioni. Ma aspettiamo anche che Netflix, come auditel, rendiconti i percorsi di scelta dei suoi clienti. Basterebbero quelle statistiche a capire quel che gira nelle nostre teste, meglio di mille sondaggi al telefono. Nell’interesse della Patria, della Cultura e di Sciò Business.