Il Tribunale doveva esprimersi sulla questione dei diritti umani violati in valle di Susa in seguito al progetto del tunnel per il treno ad alta velocità. “Lottare per il diritto è un diritto” ha esordito la ecologista cilena Sara Larrain, elogiando una comunità che da venticinque anni lotta per vedere riconosciuto il proprio diritto di rappresentanza. Infatti, uno dei principali capi d’accusa era la dittatura della maggioranza, che sempre più spesso viene spacciata per democrazia. Imporre la democrazia a colpi di maggioranza porta a quello che Gabriel Garcia Marquez ha definito “fondamentalismo democratico”, un atteggiamento che, secondo Luciano Canfora, indica: “L’arrogante uso di una parola (“democrazia”) che nel suo attuale esito racchiude e ricopre il contrario di ciò che eticamente esprime; e, insieme, l’intolleranza verso ogni altra forma di organizzazione politica che non sia il parlamentarismo, la compravendita del voto, il “mercato” politico”. Sotto questa spinta fondamentalista la democrazia abbandona la sua natura di pratica politica per trasformarsi in ideologia.
Ogni fondamentalismo è per forza di cose universalista, non può che ritenersi unico né tollerare alternative. In questo senso, esso nega l’essenza stessa della democrazia, che è invece confronto continuo. Perché questo confronto avvenga, una società veramente democratica deve essere aperta alla diversità, al dibattito con chi porta idee nuove. Deve mantenere e preservare anche al suo interno l’originalità, cioè la capacità di dare vita a un progetto di rinnovamento e per fare questo “la democrazia esige di essere potenzialmente “multi-identitaria”. Il che non significa accettare qualsiasi nuova opzione, ma essere pronti e disposti a discuterla e, eventualmente, anche a rifiutarla, ma dopo averne preso atto, oppure ad accettarla come una delle opzioni possibili, senza che tutti siano costretti ad aderirvi. Si tratta di applicare un principio di rispetto verso opinioni e culture diverse.
Una democrazia scrive Carlo Galli: “Deve essere capace sia di neutralizzare i conflitti sia di liberarne i dinamismi; sia di accettare la divisione della società in parti diverse sia di costituire un’arena in cui esse si incontrano e si scontrano. Ovvero deve garantire i valori, le ideologie, gli interessi e le tendenze che pullulano nella società, evitando che una sola prenda il sopravvento e mortifichi le altre”; una democrazia, pertanto, si basa sulla scelta “di garantire il libero fiorire della pluralità delle opinioni, degli interessi, dei valori”.
I governi democratici, infatti, tengono conto (o almeno dovrebbero, per essere davvero tali) delle minoranze, che peraltro diventano tali solo se inserite nei confini di uno stato-nazione. In caso contrario esse sarebbero piccoli popoli, magari in piccoli stati. Occorre pertanto avere sempre piena coscienza di che cosa significa essere maggioranza e minoranza, e in una democrazia che voglia dirsi tale nessuno è autorizzato a dire che la verità è dalla sua parte, magari perché ha ottenuto più voti. Una maggioranza politica che in alcuni casi neppure coincide con gli interessi del Paese reale. Un esempio di questo atteggiamento, che accomuna la valle di Susa con altri casi internazionali, sono le grandi opere, imposte dallo Stato, che non rispondono neppure ai fini dei proponenti, ma che, come afferma Salvatore Settis “non servono, serve farle”.
Terminato il preambolo, il presidente della sessione del Tpp Philippe Texier, ha letto la sentenza, dichiarando esplicitamente che i diritti dei cittadini della valle di Susa sono stati violati in primis con una mancata informazione corretta sui rischi ambientali che il progetto comporta; con l’esclusione da ogni forma di partecipazione in seguito alla creazione dell’Osservatorio, che simulando un processo partecipativo, di fatto ha escluso ogni rappresentanza locale che non fosse d’accordo con il progetto; con l’omissione di uno studio serio sull’impatto ambientale e ancora peggio con la diffusione di dati e informazioni palesemente false; con la limitazione della libertà di espressione e la criminalizzazione di ogni forma di resistenza, senza parlare dell’uso della forza.
Anche i vari governi che si sono succeduti degli ultimi anni sono stati accusati di avere usato la cosiddetta “legge obiettivo” in modo illegale, per evitare ogni forma di controllo sugli appalti e sul territorio, che nel caso della valle è stato dichiarato “area di importanza strategica” giustificando così l’occupazione militare della zona. La mancata informazione, ha ribadito più volte Taxier o peggio la disinformazione voluta, in valle di Susa come in altri progetti di grandi opere è quasi sempre al servizio degli interessi di pochi e a discapito.
In conclusione il Tpp ha espresso alcune raccomandazioni: nel caso del Tav Torino Lione, raccomanda agli Stati italiano e francese, di procedere a consultazioni serie delle popolazioni interessate e in particolare degli abitanti della Val di Susa per garantire loro la possibilità di esprimersi sulla pertinenza e la opportunità del progetto e far valere i loro diritti alla salute. Al governo italiano raccomanda di rivedere la legge obiettivo del dicembre 2001 e il decreto Sblocca Italia del settembre 2014 che escludono totalmente le amministrazioni locali dai processi decisionali relativi al progetto. Sottolinea che il controllo militare del territorio nella zona del progetto di Val di Susa costituisce un uso sproporzionato della forza e raccomanda allo Stato di non ostacolare l’espressione della protesta sociale.
Infine, in un quadro più generale, il Tpp raccomanda ai governi di considerare l’attivazione di grandi opere solo se vagliate da procedure tecniche partecipative serie ed efficaci che ne dimostrino, l’effettiva necessità nel sostituire o integrare infrastrutture esistenti di cui sia accertata l’impossibilità di migliorie significative.
La sentenza è stata accolta con un’ovazione durata alcuni minuti.
Si diceva che il Tpp emette solo sentenze di tipo morale e forse la morale suscita davvero scarsissimo interesse a giudicare dalla scarsissima eco che un evento così importante ha avuto sui media nostrani. Così, mentre dopo tre giornate di dibattito, la lettura di centinaia di documenti, l’ascolto di diverse testimonianze e alcuni sopralluoghi in loco un gruppo di studiosi provenienti da diverse parti del mondo esprime un parere quanto mai negativo sulla gestione della questione Tav e di molte altre grandi opere, cercando di instillare nei governanti di diversi paesi almeno il germe del dubbio rispetto a progetti potenzialmente dannosi per l’ambiente e difficilmente controllabili, in qualche palazzo della Capitale si riprende a parlare del ponte sullo Stretto di Messina.