La Costituzione italiana, per la primavera del 2016, sarà, salvo straordinari imprevisti, riformata, o meglio, stravolta. E con buona pace degli statisti che hanno progettato e difeso in Parlamento la riforma, tutto sarà avvenuto a colpi di maggioranza. Ma ecco perché questo non è solo un modo di dire.
La Costituzione italiana fonda(va) la sua Parte II, quella intitolata “Ordinamento della Repubblica”, su un sistema elettorale proporzionale puro, lo stesso utilizzato per le elezioni della assemblea Costituente. Sulla base di questo sistema, per le votazioni più importanti, erano stati elaborati quorum e maggioranze ben precisi che avevano lo scopo di far raggiungere al Parlamento il maggiore consenso possibile. In una Italia frammentata e dotata di una rappresentanza tutt’altro che bipolare, raggiungere ampie maggioranze significava aver trovato l’accordo con numerosi partiti e dunque aver raggiunto un solida posizione comune.
E così aveva un senso il quorum a 2/3 per la elezione del Presidente della Repubblica con un meccanismo di riduzione della maggioranza necessaria per non paralizzare del tutto le votazioni: maggioranza assoluta dopo le prime tre votazioni. Con un sistema proporzionale puro, difficilmente si poteva raggiungere un accordo senza coinvolgere altri schieramenti.
In questo senso è stata tradita la Costituzione: l’introduzione del maggioritario prima e di premi di maggioranza poi, concetto, quest’ultimo, anche condivisibile in linea di principio – se ben calibrato – nell’ottica di dare maggiore stabilità alla legislatura, dovevano essere accompagnati da una adeguata riforma dell’impianto costituzionale in materia di quorum nelle votazioni più importanti. Un sistema di check and balances assolutamente necessario per dare equilibrio alle istituzioni, sistema infatti previsto in tutti i paesi occidentali.
Per esempio, si sarebbero dovute innalzare le maggioranze necessarie per l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali di nomina parlamentare e quelle necessarie per le leggi di revisione costituzionale. Una maggioranza resa così netta dall’introduzione del premio di maggioranza (ma in caso di sistema maggioritario si avrebbe lo stesso problema) non incontra limiti nei quorum, che invece sono rimasti sempre gli stessi, e può dettare e imporre in piena libertà la propria linea in elezioni e nomine di organi di garanzia.
Ma invece di cercare il dialogo, si è preferito cercare la scorciatoia.
E infatti, questo mancato adeguamento ha permesso all’attuale esecutivo, nello scorso gennaio, di imporre la candidatura del Presidente della Repubblica e di rifiutare ogni sorta di compromesso (“si parte e si arriva con Mattarella”). Altra questione è il fatto che Mattarella abbia una storia personale di tutto rispetto, tale da giustificare la sua elezione. Non è questo il punto. Il punto è il metodo, la forma, che in democrazia, è sostanza.
E lo stesso è accaduto con la riforma costituzionale appena passata al Senato: con la scusa del “tanto poi c’è il referendum”, il disegno di legge è stato portato avanti con una concezione del dialogo estremamente particolare. E anche sul referendum si è fatta un po’ di confusione.
Nell’ambito della procedura di revisione costituzionale, il referendum si inserisce come strumento solamente eventuale e di natura oppositiva, non come uno strumento obbligatorio e confermativo del processo di revisione. A sostegno di questo sta il fatto che, a differenza del referendum abrogativo, per quello oppositivo non è previsto quorum strutturale: il risultato della consultazione è vincolante a prescindere dal tasso di partecipazione popolare. È concepito, il referendum, come uno strumento di opposizione della minoranza: e infatti la consultazione sarebbe valida anche nel caso in cui dovesse partecipare meno della metà della popolazione. Per quanto riguarda la sua natura eventuale e non obbligatoria, la consultazione può essere richiesta solamente se in Parlamento non si raggiunga la maggioranza dei 2/3. Ma è evidente che se ci si rifiuta di perseguire la maggioranza più ampia e si preferisce nascondersi dietro alla consultazione diretta del popolo pur di non cercare la mediazione e l’accordo di tutti, allora sì che il referendum diventa obbligatorio.
Ci troviamo di fronte a un continuo, totale e arrogante stravolgimento del funzionamento della Costituzione e ad un tradimento del suo stesso spirito. Ma nonostante questo e, anzi, proprio grazie a questo, si riformerà una Costituzione di cui non si è colto a pieno, o non si è voluto cogliere, il messaggio.