“Ho sottovalutato una battaglia ideologica che è montata in modo incredibile”. Fa mea culpa la filosofa Michela Marzano sulla cosiddetta “teoria gender”. Detto da lei, che si definisce “cattolica praticante”, vuol dire che il problema è davvero grave. Con Papà, mamma e gender (Utet), il nuovo saggio in libreria da pochi giorni, ha provato a porre rimedio al ritardo e alla sottovalutazione mediatica di una mistificazione concettuale riguardo ai diritti del mondo LGBT. “Quando si è dentro certe tematiche anche in prima persona certe strumentalizzazioni non vengono comprese in tutta la loro portata. Per cui per tanto tempo ho pensato che fosse solo un piccolo gruppo di persone che sta costruendo un’ideologia gender, peraltro che non esiste. Invece ho sbagliato. Chi portava avanti l’ideologia gender stava facendo molti incontri, diffondeva idee sbagliate e aveva in testa una battaglia ideologica ben precisa”.
ProVita, Manif Pour Tous Italia e tutte le associazioni genitori delle scuole cattoliche (AGeSc) sono i soggetti che nell’ultimo anno attraverso video virali sul web, mailing list, post su Facebook e messaggini What’s App si sono “convinti che nelle scuole italiane si stesse portando avanti un progetto d’indottrinamento dei più piccoli volto a scardinare i valori della famiglia e a banalizzare qualunque comportamento sessuale”. “Forse il mio libro è uscito troppo tardi – continua la scrittrice italiana – e si rischia di vedere bloccato del tutto il progetto di legge delle unioni civili in Parlamento, come nelle scuole dove non fanno più entrare gli educatori che avevano in testa di spiegare e contrastare le violenze di genere e le discriminazioni. Con questo saggio mi batto anche per un’esperienza non diretta ma familiare: sono sorella di una persona gay che ha subito discriminazione quando era piccolo e non ha avuto strumenti per difendersi”.
E’ un pamphlet di grande respiro e di approfondita analisi, quello di Marzano. Uno scritto che, nell’esplorare il radicalismo di chi ha creato realmente una trovata propagandistica che invece distorce i veri studi di genere, si propone per il dialogo, il confronto. Basti pensare alle polemiche di queste ore dopo che il sindaco di centrodestra di Padova ha negato una sala comunale per presentare Papà, mamma e gender: “E’ un episodio che mi fa cadere dalle nuvole. Ed è la dimostrazione che il dialogo è morto o viene bloccato. Di fondo con il mio saggio non voglio entrare nei limiti o nelle crepe del mondo cattolico, quando oltretutto ogni mondo ha le sue crepe, qualunque esso sia. Mi interessa invece che si ricominci a dialogare perché non si dialoga più, l’unico modo è mettersi in gioco personalmente facendosi attaccare da tutte le parti. Dialogare in modo da ascoltare l’altro, Io non difendo solo l’alterità, io difendo anche il dialogo, e non c’è dialogo senza alterità”.
Le discriminazioni e violenze contro le donne, le persone omosessuali e transessuali che in Italia a parole si combattono, ma quando si devono decidere i mezzi da usare ecco tracciarsi la frattura profonda: “Di base c’è il riconoscimento del valore dell’essere umano, indipendentemente dalle sue differenze, specificità, caratteristiche. Siamo tutti uguali perchè la dignità è la stessa. Dopodiché alcuni pensano che determinate caratteristiche tolgano dignità all’individuo, creino una gerarchia, superiore e inferiore, che a livello valoriale non esiste. E’ il problema di un certo mondo cattolico, ma anche musulmano, ebraico, e pure laico”, spiega la docente di filosofia all’Università Descartes di Parigi.
“E poi c’è il problema di immaginare un legame necessario tra differenze biologico-anatomiche e comportamentali. Un esempio? Le donne hanno un corpo atto alla gestazione, allora sono più portate alla cura rispetto agli uomini. Questa è fallacia argomentativa, perché non è la differenza anatomica che predispone alla cura. In realtà la cura non ha né sesso né genere: possiamo avere donne incapaci nel curare i figli come degli uomini. Smetterla di immaginare determinati comportamenti o attitudini siano legati alle differenze biologiche e genetiche sarebbe già un grosso passo in avanti”. “L’incontro delle differenze struttura le nostre identità – continua – e va prima di tutto accettato all’interno di noi stessi. Talvolta si immaginano le differenze esterne a noi; ma la differenza come spiega Freud è sempre presente in noi. Quindi il dialogo con altro è anche un dialogo con se stessi”.
Michela Marzano è tutt’ora deputata del Partito Democratico e si è battuta in Parlamento in numerosi progetti di leggi sui diritti civili. “Non mi ripresenterò mai più come candidata. Nemmeno se me lo chiederanno”, risponde decisa la filosofa. “Mi hanno chiesto di accettare la candidatura per portare in Parlamento le battaglie sulle libertà civili che facevo all’università. I risultati non ci sono ma io lascio il mio seme, intervengo, voto in dissenso sempre all’interno del PD; dopodiché non mi presenterò mai più, ma finché ci sono semino. Certo a Montecitorio si fa poco, ma si fa poco anche perché la situazione della società italiana non è particolarmente brillante. Ad inizio mandato pensavo ci fosse una separazione netta tra Parlamento e società, invece penso che il Parlamento sia in realtà lo specchio della società e il problema è che in quanto specchio segue la società: se questa va in una direzione il Parlamento si adegua”.
“In realtà ritengo che il compito del legislatore sarebbe talvolta contrapporsi a questo “movimento” – conclude – ricordo Mitterand che nell’81 in Francia abolì la pena di morte nonostante la maggioranza dei francesi fosse contraria. Lì si mostrò il vero statista. Per questo penso che anche se in Italia registriamo le proteste di molte persone che non vogliono ci sia un quadro giuridico sulle coppie omosessuali, il legislatore se di sinistra, come sono io, e com’è il partito per cui mi ero candidata, e che ha come stella polare l’uguaglianza deve comunque procedere e dare un quadro giuridico alle coppie omosessuali”.