Era stato condannato all’ergastolo con l’accusa di essere uno dei due killer del boss Salvatore Cordì, detto il “cinese”, ucciso il 31 maggio 2005 a Locri. Michele Curciarello è stato scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Il presunto sicario della ‘ndrangheta torna libero in attesa di un nuovo processo d’Appello dopo che la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza con la quale Curciarello era stato condannato al carcere a vita.
Detenuto dal 2008, quando fu arrestato nell’ambito dell’inchiesta “Pioggia di novembre”, Curciarello si è sempre dichiarato innocente pur essendo, ormai, l’unico imputato per l’omicidio Cordì che, secondo la ricostruzione del sostituto procuratore della Dda Antonio De Bernardo, non può essere considerato una semplice vendetta della famiglia mafiosa avversaria. Piuttosto, il delitto si inquadra nell’ambito delle faide che hanno insanguinato Siderno e Locri. E di conseguenza, stando all’accusa, l’omicidio del “cinese” si inserisce nelle pieghe dei rapporti tra le cosche Cordì-Commisso e Cataldo-Costa-Curciarello. Tre mesi prima dell’omicidio Cordì, infatti, era stato ucciso il boss Giuseppe Cataldo che, prima di morire, aveva scritto una lettera dal carcere di Vibo Valentia dove era detenuto. Una missiva indirizzata al boss Tommaso Costa (all’epoca in carcere a Palmi), che secondo la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria torna attuale per capire gli schieramenti mafiosi della Locride.
“…è importante il vostro discorso – scrisse Cataldo al boss alleato – e per quello che compete noi faremo il possibile e non solo daremo voce in modo che una lancia si spezzi in suo favore…passo ai più sinceri saluti con la stima che i nostri padri hanno tenuta viva nei nostri cuori e che ci batteremo affinché la stessa non si dissolva e si tramanda. Vi invio un abbraccio fraterno, vostro amico Giuseppe Cataldo”.
A svelare il contesto in cui è maturata l’uccisione del boss è stato il collaboratore di giustizia Domenico Novella il quale ha raccontato ai giudici che Antonio Cataldo (assolto in via definitiva) avrebbe chiesto alla famiglia Curciarello (vicina alla cosca Costa) di uccidere il boss rivale. “Salvatore Cordì – ha riferito Novella al pm Giuseppe Creazzo (oggi procuratore di Firenze) – era stato avvertito dalla famiglia Comisso di Siderno che Antonio Cataldo aveva mandato dalla famiglia Curciarello Antonio Panetta, Salvatore Panetta e il fratello Francesco Cataldo che lo volevano uccidere”. “U cinesi”, quindi, sapeva che i Cataldo stavano preparando un attentato alla sua vita.
La missione di morte, stando alle carte dell’inchiesta “Progressivo 659 dead”, sarebbe stata registrata in diretta dalla polizia grazie a una telefonata partita dal cellulare di Domenico Zucco che era sottoposto ad intercettazione. Nella registrazione si sentiva, infatti, un rumore simile a quello di uno sparo seguito, dopo qualche istante, dall’urlo di una donna che avrebbe assistito al delitto. Quella intercettazione, però, non fu sufficiente alla Procura per dimostrare la colpevolezza degli indagati. Anche quel filone dell’inchiesta, infatti, non riuscì a portare alla condanna di Antonio Panetta, Antonio Martino e Domenico Zucco. Tutti e tre, assieme al boss Antonio Cataldo, sono stati assolti in via definitiva. Resta sospesa solo la posizione di Michele Curciarello che adesso, con il solo obbligo di firma, da libero potrà sostenere l’ennesimo processo per uno dei più eccellenti omicidi della faida di Locri.