OmbrinaIl giorno 9 Novembre 2015 si è chiusa l’ultima conferenza dei servizi su Ombrina Mare, il progetto petrolifero della Rockhopper Exploration che prevede la costruzione di una piattaforma estrattiva con annessa nave-raffineria a soli 9 chilometri da riva. I lavori potrebbero iniziare già nel 2016.  Esultano gli investitori, esulta il management del petrolio. Esultano un po’ meno gli abruzzesi.

Sic transit res publica italica. 

A un certo punto di questa mia vita petrolifera, mi sono accorta che il petrolio più che sporcare l’ambiente, sporca le democrazie. Sono cosi tanti i poteri coinvolti e i risvolti economici che alla fine chi ha interessi monetari a trivellare non si preoccupa più di niente e calpesta le regole del vivere civile, il buonsenso, la volontà popolare. E la politica si piega, perché ignorante e miope e perché accecata da affaristi e lobbisti.

Questo è quello che si cristallizza ai miei occhi dopo otto anni di Ombrina Mare, portata avanti democraticamente ed intelligentemente in tutte le sedi. E’ la democrazia che muore. Non sono a valse a niente le nostre proteste, le motivazioni articolate del perché non è saggio costruire un mostro del genere cosi vicino alla riva, le osservazioni inviate a decine e decine, il nascente Parco Nazionale della Costa Teatina, il no di mezza regione, della Chiesa Cattolica, di accademici, di pescatori, di operatori turistici. Alla fine tutto si è deciso in una sorta di riunione semi-segreta con funzionari ed addetti del ministero che chissà pure se la conoscono la riviera teatina.

Non dovrebbe funzionare cosi in un paese sano.

Che messaggio è passato? Che la volontà del popolo non conta niente. Che Matteo Renzi ed i suoi funzionari comandano per dictat e non perché ascoltino i desideri, le aspirazioni di un popolo. Che non siamo qui per migliorare l’Italia quanto per aiutare i nostri petrol-amici. E questo non può essere mai costruttivo. Ci perde l’ambiente, ma ci perde prima di tutto il nostro essere nazione, perché questa decisione non farà altro che far sentire al cittadino comune che la res non è sua, ma di altri più grandi di lui, e che quindi non vale neanche la pena partecipare. Si diventa cinici ed egoisti, e non più innamorati del proprio territorio, della propria nazione.

Non era successo mai nella storia d’Abruzzo che ci fosse un sentire comune così forte come per il petrolio. Dal Centro Oli di Ortona a Bomba, ad altre concessioni morte allo stato embrionale, è stato un sentimento che ha unito tutti e che ha dato la spinta ad altre comunità sparse per l’Italia a portare avanti battaglie simili. E’ stato veramente eroico quello che è stato fatto, dal primo giorno del Centro Oli nel 2007 fino ad oggi.

E se è stata approvata Ombrina quando una regione intera le diceva no, le porte sono adesso stra-aperte per mille altre concessioni, in terra ed in mare in tutta Italia. Se non ci fermiamo davanti a un mostro Fpso di trecento metri di lunghezza che emetterà inquinanti tutti i santi giorni, e che quasi la si potrà toccare da riva, non ci si fermerà davanti a niente altro, temo. Chi verrà dopo? Il golfo di Taranto, la Sardegna, la Sicilia, Ostuni, Monopoli, le Marche, il Veneto? E’ questa l’Italia che vogliamo? Nel 2015? Possibile che non abbiamo ancora capito che petrolizzando l’Italia ci diamo la zappa sui piedi da soli?

Che fine fanno adesso tutte le piccole e medie attività turistiche lungo la costa d’Abruzzo? Il Parco Nazionale della Costa Teatina che attende da 15 anni di essere perimetrato? I soldi spesi per lo smantellamento della ferrovia adriatica e per costruire nuovi tracciati all’interno per incentivare il turismo?

Certo, ci sono ancora ricorsi al Tar e altri procedimenti legali davanti, ma lo scollamento fra quello che vorremmo essere e quello che ci viene imposto di essere  è disarmante e ingiusto.

Non succederà domani, ma tutto l’assetto dell’Abruzzo costiero cambierà con Ombrina. Ci vorrà infrastruttura industriale, ci saranno viavai di petroliere, oleodotti da costruire, perdite eventuali, porti attrezzati, zolfo da stoccare, rifiuti tossici speciali pericolosi da smaltire. Non sarà più lo stesso. Gela, Falconara, Ravenna avrebbero dovuto farci aprire gli occhi. E invece. E non ci si venga a dire che turismo e petrolio possono coesistere, perché non è vero.

Chissà se quelli del ministero si sono posti queste domande. Ma tutto questo è tipico dell’Italia, un paese in cui tutto viene fatto a casaccio, senza un master plan intellettivo per il futuro, un paese in cui gli amici sono sempre più forti del bene comune. Vorrei vederlo adesso Matteo Renzi ai summit sul clima di Parigi cosa dirà, o cosa diremo ai croati con queste fantomatiche consultazioni transfrontaliere.

I petrolieri pensano di avere vinto. Invece è l’Italia che ci perde.

Qui immagini di Fpso incendiatesi nel 2015. Sono tutte a più di 100 chilometri da riva e non a nove. 

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