Agostino Abate lavorerà come giudice a Como. Il Csm: "Decisione per incompatibilità ambientale". Al centro della procedura le "gravi violazioni" durante le indagini di Lidia Macchi, uccisa nel 1987, poi avocate dalla magistratura di Milano. Il procuratore insubre gli aveva tolto il fascicolo sul gruista morto all'ospedale dopo la notte in una caserma dei carabinieri
Il sostituto procuratore di Varese Agostino Abate è stato trasferito dal Csm in via cautelare per “incompatibilità ambientale“. Abate opererà ora come giudice al tribunale di Como. La decisione è stata presa dal Consiglio superiore della magistratura per motivi di opportunità: è ancora in corso infatti un procedimento disciplinare nei suoi confronti. Abate è noto, in particolare, per aver seguito le controverse indagini sulla morte di Giuseppe Uva, il gruista morto in ospedale nel giugno del 2008 dopo aver trascorso parte della notte in una caserma dei carabinieri. “Pur ritenendo non giusta tale decisione, verso la quale eserciterò i diritti previsti – ha spiegato il pm – ho il dovere di rispettarla. Sosterrò le mie ragioni nelle sedi competenti, sicuro che il Consiglio superiore accerterà nel merito l’inesistenza dei rilievi mossi”.
Abate, per il caso Uva, chiese l’archiviazione di due carabinieri e sei agenti di polizia che ora invece – dopo che il fascicolo finì a un altro magistrato – sono a processo per omicidio preterintenzionale. E il pm era stato quindi al centro di molte polemiche e di esposti da parte dei familiari dell’operaio, convinti che la vittima avesse subito violenze in caserma. Le istanze dettero vita anche a un’azione disciplinare avviata dall’allora ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri. Luigi Manconi, senatore Pd, presidente della commissione per la tutela dei diritti umani di Palazzo Madama commenta: “Ci sono voluti sette lunghissimi anni, tanta fatica e moltissimo dolore prima che l’organo di autogoverno della magistratura finalmente, riconoscesse – in via cautelare – come l’infinita serie di abusi, illegalità, e soperchierie commesse dal dottor Agostino Abate non fosse più compatibile con la sua permanenza a Varese”.
Il trasferimento provvisorio a Como, però, non riguarda – secondo fonti dell’Ansa – il caso Uva. Al centro del procedimento ci sarebbero invece una serie di altri episodi tra cui la gestione dell’inchiesta sull’omicidio di Lidia Macchi, una studentessa accoltellata in provincia di Varese nel 1987. Nel novembre 2013 la Procura generale di Milano avocò il fascicolo, disponendo nuovi accertamenti che portarono all’iscrizione nel registro degli indagati di Giuseppe Piccolomo, già condannato all’ergastolo per il cosiddetto “delitto delle mani mozzate”, l’omicidio della pensionata Carla Molinari, nel 2009 a Cocquio Trevisago (Varese). “In violazione di doveri di diligenza e laboriosità nonché di specifiche prescrizioni di legge in tema di finalità delle indagini preliminari”, si legge in un passaggio dell’ordinanza del Csm, relativa al caso Macchi, Abate “ha omesso o ritardato ingiustificatamente di compiere atti che gli incombevano”. “Con una serie di comportamenti improntati a gravi violazioni di legge e inescusabile negligenza – ha proseguito il Csm – ha arrecato indebito vantaggio all’ignoto autore del reato in questione affiovelendone la possibilità di identificazione”.
Originario della Campania, Agostino Abate svolge il ruolo di pm a Varese dal 1984. Periodo in cui, anche in qualità di applicato alla Dda, ha condotto inchieste sulla criminalità organizzata e la Tangentopoli varesina. “L’ambito e la portata delle indagini istruite e gli esiti dei processi svolti sono noti – spiega il magistrato in un comunicato – ho sempre difeso la totale autonomia e l’indipendenza di giudizio e nessuna parte lesa ha goduto di privilegi, nessuna persona indagata ha potuto condizionare le mie decisioni”.
Abate ha sottolineato che “il mio dovere era ed è di resistere alle ripetute ingerenze, anche estranee e mediatiche, incurante delle pressioni di ogni tipo subite negli ultimi anni”, ha ribadito, spiegando di non aver mai permesso “che condizionassero le decisioni delle indagini” e di essersi “opposto alle improprie richieste di quelle parti processuali che pretendono di scegliersi il pm istruttore del procedimento che li riguarda”. “Se la conseguenza era vivere l’attuale situazione era mio dovere affrontare questo rischio – ha concluso – pur di non venir meno ai principi da sempre seguiti”.