A spanne, le automobili prodotte ogni anno nel mondo sono 60 milioni o poco più: 18 milioni in Cina, 15 nell’Unione europea, Germania in testa, 8 in Giappone, 4 in Corea e negli Stati Uniti, 2 in India e in Brasile. Tre gruppi automobilistici sopravanzano largamente gli altri: Volkswagen, Toyota e General Motors tra i 9 e i 10 milioni ciascuna. Gm è stata l’auto più venduta al mondo tra 1931 e 2007, ma da sette anni non ha più il primato. Strategicamente le tre marche, in grande concorrenza sull’arena globale, si sono orientate anche nelle campagne pubblicitarie a puntare su un netto miglioramento dell’impatto ambientale dei loro prodotti, anche a costo di trucchi e manipolazioni: la Toyota si è presentata come leader nell’ibrido, la Vw nel diesel con ridotte emissioni di CO2, la Gm nell’efficienza dei veicoli e nei cicli di produzione manifatturiera degli autoveicoli.
La Vw è stata pescata con le mani nella marmellata, ma non credo che la questione, benché disgustosa, possa ridursi solo alla truffa di un management arrogante. In fondo, nell’arena del mercato si compiono orrendi misfatti e se tutto finisce in una multa e in un risarcimento, seppur onerosi, come insegna la Bp, i bilanci delle multinazionali possono sopportare di tutto. Da giorni girano voci su malware in diversi settori: secondo Dyson i produttori di aspirapolvere barano come Volkswagen sui test e secondo il Guardian Samsung avrebbe truccato il risparmio energetico dei suoi televisori. Nel settore auto è chiaro che ogni casa lotta contro gli inganni delle altre, ma in silenzio.
Qui, invece, vorrei trarre l’attenzione su una questione che lo scandalo VW ha fatto esplodere al di là dell’indegno comportamento della casa tedesca: è l’auto individuale in binomio col petrolio che sta diventando un prodotto non più sostenibile e per i suoi limiti viene rimesso al giudizio responsabile dei consumatori e non alle sole convenienze dell’economia. La congestione del traffico e l’intensità di emissioni cancerogene e climalteranti pongono un problema assolutamente inedito al mito dell’auto, al punto da far barcollare le politiche industriali di interi Paesi e dei loro governi.
Per ora sui media hanno prevalso le irritazioni per la concorrenza sleale, dietro cui si celano più o meno mascherati conflitti geopolitici, che spiegano come mai risultati già registrati dai ricercatori europei per i veicoli diesel (non solo Vw), con sforamenti dei limiti che vanno da 5 a 20 volte per l’anidride carbonica e da 15 a 35 volte per gli ossidi di azoto, siano stati a lungo occultati dalla Ue e siano invece stati immediatamente rivelati dagli Stati Uniti dopo l’indagine dell’International Council on Clean Transportation. Un istituto privato che non è una organizzazione filantropica come si vuol accreditare, ma una potente lobby alimentata dai soldi delle fondazioni create da Bill Hewlett e David Packard, creatori di un impero elettronico con forti interessi nel settore militare.
Il problema dello sforamento è molto più ampio: per cominciare dai furgoni, che di solito emettono in media circa cinque volte più inquinamento di limiti ammissibili quando guidati sulla strada. Le stesse auto a benzina non ne sono esenti – anzi, una su cinque moderne auto a benzina non riescono a raggiungere i limiti di emissione di CO2 per le nuove prove di laboratorio Necd. Vorrei ricordare che dal 2012 è in vigore nella Ue un sistema per cui ogni gruppo automobilistico ha un target complessivo annuale di emissioni di CO2 da rispettare, calcolato come media per l’intero parco auto, quindi, non basato sulle emissioni per ogni veicolo individuale. Le multe scattano al superamento del target di gruppo e il loro ammontare è calcolato in base ai grammi di CO2 per chilometro ‘sforati’, con un importo crescente per ogni grammo e moltiplicato per il numero di auto immatricolate quell’anno. Finora solo due produttori sono stati multati, entrambi per il 2013: la Ferrari e Avtovaz.
Da ultimo, sempre per le emissioni, va rilevato che non vi è alcun limite al metano delle auto, nonostante che l’effetto serra di quel gas sia 23 volte più forte di quello della CO2 e che le macchine mobili non stradali, che vanno dalle macchine portatili – come tagliasiepi – alle grandi macchine da costruzione off-road – come bulldozer e motori per compressori, pompe e generatori – sono soggette a norme meno severe di quelle che regolano i camion Euro VI ed emettono circa il 15% di NOx urbano e il 5% delle particelle di particolato.
In buona sostanza, la pentola scoperchiata dalle truffe concepite a Wolfsburg sembra un vaso di Pandora: sono il motore a combustione e il trasporto individuale che vanno sotto accusa e ormai è tempo di proporre nuove soluzioni e non solo limiti e divieti. Questi sono i compiti che la politica sottomessa all’economia non vuole affrontare ed è disposta a monetizzare e a far pagare ai cittadini. Se si decarbonizzasse il trasporto si ridurrebbero di un quarto le emissioni di gas a effetto serra in Europa. Ma per arrivare a questo obbiettivo non basterebbero i propulsori elettrici o le batterie chimiche: andrebbe riorganizzata la mobilità e ridotto il traffico come sistema.
Non siamo solo di fronte a truffe e opportunissime denunce, ma alla necessità di modifiche strutturali che concorrano a risanare il pianeta!