La giustizia tedesca ha avviato un procedimento contro alcuni top manager di Facebook che, secondo l’accusa, avrebbero ritardato la rimozione di alcuni contenuti violenti e xenofobi pubblicati dagli utenti sulle pagine del social network.
Il procedimento penale – ancora alle battute iniziali – si inserisce in un braccio di ferro che va avanti ormai da alcuni mesi tra il governo della Cancelliera Angela Merkel ed il popolare social network che – secondo l’Esecutivo di Berlino – non farebbe abbastanza per eliminare i contenuti segnalatigli come offensivi o ispirati all’odio razziale.
Una storia, quella che rimbalza dalla Germania, che ricorda quella che, per anni, ha visto contrapposta la Procura della Repubblica di Milano a quattro top manager di Google, accusati, in quell’occasione, di aver permesso ad un gruppo di adolescenti di caricare su YouTube un video nel quale maltrattavano – in modo obiettivamente inaccettabile – un loro compagno di scuola down.
In quella vicenda – la prima in Europa in cui i responsabili di una piattaforma di condivisione dei contenuti si ritrovavano citati in un giudizio penale quali responsabili di contenuti illeciti pubblicati dagli utenti – i quattro super dirigenti di Big G, vennero dapprima condannati e poi assolti all’esito del Giudizio di appello.
Troppo presto, allo stato, per ipotizzare l’esito del giudizio tedesco del quale, peraltro, non si conoscono ancora i dettagli ma la questione di fondo sembra esattamente la stessa: tocca davvero alle corporation che gestiscono le grandi piattaforme online trasformarsi in sceriffi e rimuovere, dietro semplice segnalazione di un privato cittadino, contenuti apparentemente illeciti pubblicati dagli utenti?
Ma, soprattutto, è davvero auspicabile pretendere che Google, Facebook, Twitter si ritrovino a far le veci di Giudici ed Authority, decidendo se e quando una richiesta di rimozione di un contenuto merita di essere accolta oppure respinta?
Guai a far apparire semplice una questione straordinariamente complessa oggetto di un dibattito che attraversa trasversalmente il mondo intero e, proprio in questi giorni, al centro di un acceso confronto anche qui in Brasile, nell’ambito dell’Internet Governance Forum di Joao Pessoa.
Ma, ad un tempo, guai a non sottolineare che più si chiamano i gestori delle grandi piattaforme a rispondere – addirittura in sede penale – dei contenuti pubblicati dagli utenti, più si spingono questi ultimi a trasformarsi in autentici sceriffi o censori del web, privatizzando, di fatto, la giustizia ed affidando ai giganti della Rete il compito – che, peraltro, loro non vorrebbero e non reclamano – di decidere se e quali contenuti possano sopravvivere online e quali, al contrario, possano scomparire, sulla base di una semplice richiesta da parte di chicchessia, magari seguita da una minaccia di un’azione penale, per l’ipotesi di mancata cancellazione.
Non c’è dubbio che chiedere a Facebook di rimuovere i contenuti offensivi o, almeno apparentemente illeciti, pubblicati online – senza passare né per un giudice, né per un’Authority – sia il modo più veloce ed efficace di ottenerne la cancellazione dal web ma siamo davvero sicuri che sia giusto così?
Si tratta di uno scenario democraticamente sostenibile ed auspicabile?
Certo Facebook – così come tutti gli altri gestori delle grandi piattaforme di condivisione – guadagna centinaia di milioni di dollari in pubblicità consentendo la condivisione massiccia di ogni genere di contenuto ma basta questo per pretendere che debba anche amministrare giustizia o, almeno, un surrogato della giustizia online?
La sensazione è che il convincimento diffuso secondo il quale chi fa business su contenuti altrui debba risponderne, sia un frutto avvelenato che minaccia di regalarci un’interminabile sequenza di vittorie di Pirro, nelle quali ci si ritrova a pensare di aver vinto mentre, in realtà, si è stati sconfitti o, peggio ancora, si è lasciata sconfiggere la democrazia che ha per necessario presupposto che di ogni genere di illecito – primi tra tutti proprio i reati di opinione – debbano decidere solo ed esclusivamente i giudici, all’esito di un giusto processo.