Ha scritto Confucio che “per una parola un uomo viene spesso giudicato saggio, e per una parola viene spesso giudicato stupido. Dunque dobbiamo stare molto attenti a quello che diciamo”. E che facciamo.
Mille e più volte ho raccontato quali e quante distorsioni siano contenute nella gestione della crisi greca da parte della Troika, con prestiti scaduti, affari poco trasparenti, scelte discutibili. Tre anni dopo il mancato default, però, la parola d’ordine da utilizzare credo sia responsabilità. Lo sciopero generale che sta andando in scena in tutta la Grecia è sbagliato. Sindacati, ordini professionali, trasporti cittadini, aerei e navi si fermano per protestare contro il governo Tsipras, ma viene da chiedersi perché lo abbiano rivotato meno di due mesi fa. Forse non avevano letto il programma di Syriza che prevedeva al primo posto l’attuazione del terzo memorandum siglato nell’agosto scorso? Forse nessuno sapeva che senza compiti a casa non sarebbero stati assicurati altri prestiti miliardari (che non chiudono i conti, ma li peggiorano)? Forse chi in queste ore scende in piazza si aspettava come per magia che tutto potesse tornare come nell’anno delle faraoniche Olimpiadi, costare tre volte rispetto a quanto pattuito, dove non esistevano gare di appalti?
In Grecia, al netto delle storture politiche dell’Unione che non cessano come sul caso migranti, si continuano a non pagare le tasse: sino al giugno scorso si contavano sei miliardi di mancate entrate per l’erario. Si continua a importare l’85% dei prodotti di cui il paese necessita e non si investe in ambiti nuovi e diversi. Si gigioneggia attribuendo la colpa dello status quo solo a Bruxelles, a Berlino, agli americani, ai servizi, alla geopolitica, quando invece bisognerebbe allestire un tavolo dove condividere responsabilità e atteggiamenti.
E’ come se chi manifesta oggi sia in qualche modo colluso con un intero sistema che ha prodotto, assieme alla complicità secondaria dell’Ue, il danno a cui si assiste oggi. E’ lo schema seguito dalla penna di Nicola Mariuccini in “La prigione di cristallo” (Futura Edizioni) in una coinvolgente narrazione dove l’esperienza della violenza domestica vissuta si fa “collusione” con l’aggressore. Mariuccini in un lunghissimo dialogo decide di accendere un focus sulla soggettività dei protagonisti che urlano tutta la loro voglia di libertà e autodeterminazione. Un racconto ambientato nella Grecia dei colonnelli, in un momento storico in cui i diritti umani erano solo sulla carta. Un po’come oggi quando il contesto socio politico legittima tutti i tipi di reazioni, anche uno sciopero inutile e mediaticamente deleterio contro quel governo che si è appena votato a tamburo battente.
La piazza dunque come lavatrice di coscienze e comportamenti, dove il mancato cambio di passo di una mentalità datata e assistenzialista è il principale freno ad un futuro che non sembra stagliarsi all’orizzonte: dove restano solo cirri sconfortanti e prestiti sempre più scaduti.
Twitter: @FDepalo