Le ragioni di un remake, di un qualsiasi remake, sono imponderabili. Quelle de Il segreto dei suoi occhi lo sono altrettanto. O meglio, non ce ne sono di evidenti, sbandierate, urgenti. La ruota del tempo gira, le storie buone talvolta rimangono in mente, e visto che Billy Ray, regista del remake de Il segreto dei suoi occhi versione 2015, ha dietro la Warner Bros, un tentativo di riadattare l’originale – premio Oscar come miglior film straniero – non glielo poteva vietare nessuno.
Già sceneggiatore di buoni film come State of play, Flightplan o del primo Hunger Games con Suzanne Collins, Ray ha traslato l’idea iniziale di un efferato omicidio di una giovane ragazza che rimane nella testa e nell’anima dell’assistente di un pubblico ministero argentino nel 1974 tramutandolo, nel remake, in trauma per testa e anima di un agente dell’FBI nel 2003. Cambio di luogo e di contesto politico, ma soprattutto di una visione più manichea e tragica dell’originale. Come del resto i fan del lesso duo da poltrona Ricardo Darin/Soledad Villamil non ritroveranno la pacioccona storia d’amore della matrice argentina, ma un più algido e inespresso rapporto tra Chiwetel Ejiofor e Nicole Kidman.
Perché ne Il segreto dei suoi occhi versione hollywoodiana lo strazio dell’omicidio e la relativa ricerca dell’assassino, quest’ultimo prima coperto dalle autorità per questioni di sicurezza nazionale (è un informatore) poi liberato con profondo senso di vendetta e rivalsa da parte di parenti e conoscenti della vittima, è una ricerca ossessiva di verità e giustizia dell’agente FBI che ricorda molto da vicino La promessa di Durrenmatt anche in versione cinematografica per la regia di Sean Penn. Come dire, il nucleo del racconto sta qui: nell’impossibilità di dimenticare lo strazio della perdita di una persona amata, e di lenire il dolore provato dal familiare che l’ha perduta. Chiariamo ancora: a differenza dell’originale nel remake viene uccisa subito, non è spoiler, una persona che ha a che fare con la collega (Julia Roberts) dell’agente FBI (Ejiofor) protagonista.
Chi ha amato il film di Juan Jose Campanella ricorderà che quella fanciulla violentata e tumefatta (oltretutto l’insistenza voyeuristica della macchina da presa sui poveri resti non era di certo una scelta nobilissima) non era proprio un elemento così dannatamente forte e preponderante dello script: la vittima non era di ‘famiglia’ (come nel remake), ma laterale (la moglie di una coppia appena sposata), rimanendo nella sua insolubilità da caso giudiziario una sorta di doppio simbolico dell’impotenza dei due amanti/colleghi nel confessarsi il loro amore. Nella versione di Ray, quindi, il desiderio di vendetta dell’oramai ex agente FBI dopo più di dieci anni primeggia e rispecchia il tradizionale manicheismo buono vs. cattivo all’americana, soprattutto nell’agnizione finale: di per sé non un male assoluto, ma solo una soluzione narrativa possibile (un po’ come gli alleggerimenti comici della versione argentina, se graditi). Nel film di Ray la detection viene appena sfiorata con sulla spalla l’incubo del terrorismo post 11 settembre 2001, all’interno di una messa in scena che privilegia i lunghi e sospirati dialoghi a mezzo busto o primo piano. Anche perché parecchie sequenze memorabili più dinamiche sono letteralmente ricalcate dall’originale, talvolta inquadratura per inquadratura: l’irruzione in casa dell’assassino, la fuga e rincorsa tra gli spalti dello stadio, il ‘twist’ finale in campagna.
Come dire che Ray si è preso quel che funzionava soprattutto in termini di “azione”, ha lasciato dov’erano alcune scelte di scrittura prive di nerbo (la necessità dell’ex pm argentino di scrivere un libro sull’omicidio grida ancora vendetta), e li ha ricuciti su una trama più vicina alla propria cultura d’origine. Julia Roberts senza trucco è irriconoscibile e generosa; la Kidman non riesce più a muovere i muscoli facciali ma non deve fare granché se non da lontano e impenetrabile oggetto del desiderio; mentre Ejiofor va detto con quella sua compostezza ed eleganza, con la capacità di riassumere sentimenti contrastanti con micromovimenti del viso, si candida ad essere un nuovo Denzel Washington. Un appunto storico: Il segreto dei suoi occhi 2010 era ambientato prima del regime di Videla, nell’epoca sì della Tripla A del sanguinario ministro Lopez Rega, ma non “è girato sotto la dittatura”. Questo per dire che ne Il segreto dei suoi occhi 2015 la ragion di stato anti Bin Laden con cui si copre l’assassino risulta ben più ridicola e ingiusta tanto da esaltarne in negativo la relativa impunità.