Quindici anni fa i Gang cantavano “Bologna non c’è più ce l’hanno presa loro”. Io, tra andate e ritorni, è dal 2003/2004 che abito in questa città, non ho mai conosciuto cosa c’era prima, rimane il fatto che, ad oggi, credo sia palese come Bologna l’abbiano presa del tutto loro.
Recentemente gli sgomberi di Atlantide e dell’Ex Telecom sono stati due casi emblematici di inefficienza e autoritarismo che hanno riaperto ufficialmente la stagione dell’intolleranza e degli sgomberi coatti. Domenica, Salvini, Berlusconi e Meloni, hanno definitivamente infierito su una città sempre più militarizzata, mettendo le dita dentro la piaga, premendole e girandole contro la carne viva. Concedere la piazza a questa sorta di postfascisti in una regione come l’Emilia, non solo è un offesa per la storia che ha avuto, una storia appunto fatta di Resistenza, di lotte e di morti antifascisti, ma è anche un sintomo di ignoranza, di non saper più leggere la storia, dimenticando totalmente cos’ha significato per questa regione, ad esempio, la stagione della estate del 1960.
Stiamo assistendo ad un rigurgito di fascismo che l’amministrazione comunale chiama democrazia. Gli spazi del dialogo, dei comizi e delle manifestazioni dovrebbero essere dati esclusivamente a realtà antifasciste, avendo quindi come uniche discriminanti l’appartenenza a valori quali l’antirazzismo e l’antifascismo. Se questi presupposti non esistono, non si dovrebbe concedere nessuna piazza.
Questo continuo assecondare le realtà avverse in chiave elettorale è spregevole. Mi spiego. In una città che negli ultimi mesi ha attuato una governance di destra, lasciare la piazza principale a manifestazioni di questo tipo, non fa altro che ribadire il concetto di esclusività, come dire: “Attenti, avete visto cosa succede se gli si dà una piazza? Vorrete mica concedergli il governo di una città o di un Paese? Ecco allora votateci. Ok non vi piacciamo più, va bene, però attenti se non ci votate prendono il comando loro”. Questo, è un ricatto spregevole. Bisogna sempre ricordarsi che non si fa niente per niente, tutto ha un interesse e un proprio tornaconto, in questo caso il tornaconto è elettorale. Poco importa se di mezzo ci sono prefettura e questura, un’amministrazione deve prendere posizioni chiare a salvaguardia del territorio. Questo, negli ultimi tempi, non viene più fatto. E non solo il Pd è coinvolto, bensì tutti gli altri partiti che formano il consiglio comunale: Lega, Forza Italia e M5S.
Dall’altra parte, chi ha contrastato Salvini si è mostrato debole, balcanizzato e senza una strategia. Tre cortei, una divisione infantile maturata con una serie di scazzi per motivi nemmeno degni di nota, in questi anni di nulla assoluto. Siamo arrivati al punto che anche sull’essere antifascisti ci sono delle divisioni. Da fuori, quello che si è visto, è stato il nulla pneumatico. Se si vuole fare politica bisogna coinvolgere le persone nel proprio progetto, altrimenti conviene stare nell’orto ad innaffiare i fagiolini e a cambiare l’acqua alle galline. Se il discorso vuole essere totalmente autoreferenziale senza nessuna possibilità di apertura all’esterno, conviene che rimaniate così, senza la possibilità di confrontarvi con il mondo reale.
Molto spesso nei miei post sul Fatto parlo di sgretolamento, ecco questo ne è l’esempio perfetto: la piazza principale di una città storicamente antifascista data alle destre postfasciste, l’incapacità di reagire di una giunta comunale, la frammentazione degli oppositori che si tramuta in un inefficace contrasto. C’è una grande tristezza in tutto questo, un enorme senso di perdita. Stiamo lentamente toccando il fondo, quando ci arriveremo inizieremo a scavare, confidando che prima o poi una lastra di roccia fermi questo tracollo e ci imponga di risalire.