I fenomeni migratori mescolano le popolazioni del mondo conducendoci verso un enorme melting pot planetario. Per dirla con Souleymane Ouedraogo, “è necessaria una rivoluzione culturale per adattarsi a cambiamenti che sono ineluttabili”. Ed al di là del mare non ci sono solo cervelli in fuga e disperati al traguardo. Vi sono anche talenti in arrivo. Questo è il viaggio di Nelson Ebo, partito da Luanda.
All’inizio del nuovo millennio, Luanda era l’ammuffita capitale tropicale di un paese distrutto da una guerra interminabile: l’Angola, un tempo la più prospera colonia africana del Portogallo. Gli antichi palazzi erano ormai fatiscenti; ovunque si ammassava la spazzatura; c’erano più buchi che strade, e con le piogge prosperavano gli anofeli, vettori della malaria. Centinaia di migliaia di sfollati, i mutilati, i matti coperti di stracci ed i bambini di strada si concentravano in baraccopoli prive di acqua e luce, senza in tasca nemmeno di che comprare stricnina per ammazzarsi, come cantava una canzone di quei tempi.
Mancavano due anni alla fine del conflitto ed all’inizio di quel boom petrolifero che l’avrebbe stabilmente resa la città più cara del mondo e, vista dall’alto delle poderose mura della sua bianca, immensa fortezza portoghese, Luanda malgrado tutto conservava un suo naturale splendore, affacciandosi sulla grande baia quasi chiusa a tenaglia tra la lunga striscia dell’Ilha do Cabo, nove soleggiati chilometri di spiagge, cocchi, ristoranti e discoteche, e l’ampia avenida costiera della Marginal, che supera il maestoso palazzo del Banco Nacional de Angola, scorrendo lucente fino al porto.
Dietro al porto, c’era ancora a quel tempo la pericolante favela di latta dei rifugiati della Boavista; e appena pochi metri più in alto, in un repentino contrasto, l’esclusivo quartiere del Miramar, con il suo panoramico cinema all’aperto creato negli anni sessanta dai portoghesi, il Cine Miramar. Una sera del duemila mi trovavo per l’appunto al Cine Miramar perché si era sparsa voce in città che fosse spuntato dal nulla un giovane angolano che cantava come Pavarotti.
Sotto un’incantevole luna, accompagnato da un pianista, Nelson Ebo, questo il nome del Pavarotti nero, si cimentò con potentissima e brillante voce tenorile in un misto di canzoni napoletane e classici angolani rivisitati in chiave lirica. Dopo lo spettacolo gli profetizzai: “Sei il futuro angolano più famoso nel mondo”.
Non aveva ancora diciassette anni, ed a quel tempo Nelson non sapeva neppure cosa fosse l’Opera o chi fossero Verdi e Mozart. Ma da dotatissimo autodidatta, gli era bastato ascoltare la pop-fusion di Luciano Pavarotti per cantare come lui. Dal coro parrocchiale il suono della sua voce era giunto alle orecchie di un produttore della capitale, che l’aveva trasformato in un fenomeno commerciale di gran moda nella Luanda Vip. Ancora per poco: la Spagna aveva già deciso di offrirgli un visto, un biglietto aereo ed una borsa di studio. Il 9 giugno 2001 ebbi personalmente l’onore di portare Nelson all’aeroporto. Era emozionato: chissà quando avrebbe riabbracciato la sua famiglia, gli amici di sempre, e cosa lo aspettava dall’altra parte del mare. Poi spiccò il volo, oltre l’Africa, alla volta del grande Mondo.
All’atterraggio a Madrid, le doti non comuni del diciassettenne Nelson furono notate da Placido Domingo, che lo ascoltò accompagnandolo al piano. Secondo la leggenda, il grande tenore spagnolo confidò in seguito al Re Juan Carlos di avere conosciuto un giovanissimo angolano che “cantava meglio di lui quando aveva la sua età”.
Seguono anni di studio e perfezionamento a Madrid, e numerosi viaggi in Italia per frequentare i migliori maestri, da Mariella Devia a Julian Rodescu. Nel 2008, vinta una borsa di studio presso la Hartt School of Music, Nelson si trasferisce negli Stati Uniti per studiare con Wayne Rivera. Le sue doti attirano l’attenzione di Fox News. Il 10 dicembre 2010 è invitato dall’Onu a Ginevra per celebrare la giornata internazionale dei diritti umani. Nel 2011 è scritturato come artista residente presso l’Accademia di Arti Vocali di Philadelphia di Bill Schuman. La Fondazione Gerda Lissner, la Fondazione Giulio Gari e l’Opera North gli attribuiscono importanti riconoscimenti. Il primo novembre 2015 si esibisce insieme ad Andrea Bocelli per la serata di gala della Fondazione Musicale Richard Tucker all’Opera di New York.
Da qualche anno Nelson vive a New York e si esibisce in Usa, Canada ed Europa, senza dimenticare l’Angola, dove ritorna regolarmente a fare concerti. Ha spesso cantato anche in Italia, il suo italiano è ormai perfetto; ama la nostra cultura e la nostra musica, e non solo l’Opera: è un grande ammiratore di Franco Battiato ed un appassionato della Sicilia, dove già si è esibito nel 2011 insieme a Marcello Giordani.
Chissà, forse un giorno del suo lungo viaggio Nelson Ebo, il Pavarotti angolano, canterà la musica del visionario compositore (anche d’opera) siciliano, che fin dal 1982 ci aveva avvertito:
“Arriveranno da tutte le parti,
Dalle città, dalle campagne, dal nord, dal sud (da ponente, da levante)
Per l’esodo, il grande esodo, un esodo per noi.
Nelle vie calde la temperatura si alzerà.
Moltitudine, moltitudine,
Non si erano mai viste code tanto grandi, tanto lunghe, tanto grandi, tanto lunghe.
Moltitudine, moltitudine,
Mamma mia che festa”
Franco Battiato (l’Esodo)