Giustizia vorrebbe che a essere ricordate e onorate fossero anzitutto le vittime. Che si parlasse di loro, delle loro vite dissipate, quale che sia stata l’ideologia che l’ha voluto, quale che sia stata la reale regia dell’evento che ha, come un terremoto, scosso Parigi la notte del 13 novembre. E invece no, ovviamente.
Delle vittime non si parla. Si è da subito deciso di ucciderle una seconda volta, senza pietà: questa volta non con bombe e coltelli, ma con un altrettanto criminale impiego ideologico della loro morte, incorporata impunemente nelle grandi narrazioni che su giornali e tv, su radio e social networks, le trasformano in amorfo materiale da far fruttare ideologicamente. Ciò che prova che, in fondo, il terrorismo si dice e si pratica in molti modi: terrorismo non è solo quello dei criminali che hanno concretamente compiuto la strage, ma anche quello degli sciacalli che, col sangue dei morti ancora caldo, hanno volgarmente deciso di fare propaganda, di incrementare il bacino dei potenziali voti, di inneggiare alla crociata e alla guerra giusta.
I titoli dei giornali hanno offerto lo spettacolo più squallido: ‘bastardi islamici’, titolava uno di essi. Che non aspettava altro di poter usare liberamente questa espressione. ‘Ci vuole un esercito unico europeo’, titolava un altro, in modo forse anche più subdolo. Insomma, le ideologie hanno subito banchettato, alla stregua di avvoltoi, con i corpi delle vittime. Le hanno anzi uccise una seconda volta. E quasi unanime si alza la voce di chi subito ha individuato l’assassino. Il colpevole non poteva non essere il maggiordomo, come in ogni giallo che si rispetti: l’Islam, identificato senza riserve con il terrorismo. Identità irriflessa che dovrebbe fare rabbrividire ogni sano intelletto incline a pensare o anche solo a non accettare acriticamente il ‘si dice’ del circo mediatico: e che invece viene assunta senza pensarci, come se fosse ovvia e scontata, per ciò stesso sottratta a ogni libera discussione razionale.
Guai a metterla in discussione: l’accusa di terrorismo potrebbe abbattersi anche su chi solo osasse sollevare qualche dubbio su tale identità. Nessuno spazio è consentito per riflessioni di più ampio raggio, più articolate, magari anche rispettose delle vittime. Il contegno richiesto e anzi imposto non è razionale, ma religioso, denso com’è di tabù e sottratto com’è a ogni ‘etica del discorso’. L’obiettivo – l’abbiamo capito – è di far fruttare al meglio quelle morti, per ottimizzare il capitale simbolico-ideologico che se ne può ricavare. Quel che è certo, fin da ora, è che questo attentato riconferma l’ordine reale e simbolico dominante.
Si è individuato un nemico, forse lo si è anche preventivamente armato. È una civiltà intera, secondo quello ‘scontro di civiltà’ messo a tema da un noto studioso non molti anni fa. Una civiltà intera sotto accusa, ridotta sotto l’etichetta di terrorismo. E così per il 2016 il nemico è individuato. Senza mai domandare donde sorga il terrorismo, chi lo finanzi, chi lo armi. La destoricizzazione è integrale. In suo luogo la grande narrazione che presenta l’Islam come Il terrorismo: narrazione semplice ed efficace, in grado di produrre consensi e a omologare i dissensi, di modo che essi vadano sempre e comunque a rinsaldare il consenso di massa.
Già vi è chi inneggia alla guerra e alle bombe, a nuove ondate di aggressioni militari, ossia a ciò che, ormai lo sappiamo, ha in larga parte portato a questa situazione. ‘L’Occidente deve reagire’, campeggiava sulla prima pagina di un quotidiano questa mattina. E non è difficile intravvedere il sottinteso nemmeno troppo sottinteso, bombe e guerre. Non è facile, ma occorre mantenere la lucidità – e la sobrietà – anche all’indomani di tragedie come quella di Parigi. Ed evitare il fanatismo terroristico, tanto quello che ha portato alla strage parigino, quanto quello che potrebbe portare a nuovi ‘bombardamenti umanitari’ e a nuovi ‘interventismi etici’.