La cinese O-Luxe, che ha il 90% delle quote ed è affiancato da Louis Vuitton, formalizzerà la decisione lunedì. Sul tavolo ci sono la proposta dei lavoratori, che garantisce il mantenimento dei posti a Bologna, e quella di un imprenditore di Carpi
Per novant’anni ha prodotto artigianalmente stilografiche appoggiate sui tavoli più influenti: scrivanie di presidenti e amministratori di grandi gruppi industriali. I modelli più preziosi, infatti, costano anche 40mila euro, e sono venduti sullo stesso scaffale delle Mont Blanc o delle Parker. Oggi, però, il futuro della Omas, storico marchio di penne di lusso con sede a Bologna, è incerto. Lunedì, infatti, la società cinese O-Luxe, che possiede il 90% delle quote dell’azienda – mentre l’altro 10% è del gruppo Louis Vuitton – ne formalizzerà la liquidazione. E, se non dovessero subentrare nuovi acquirenti, l’azienda di via del Fonditore potrebbe chiudere, lasciando senza lavoro i 17 artigiani che per Omas, le Officine meccaniche Armando Simoni, lavorano.
Il condizionale è d’obbligo, perché proprio due dei 17 dipendenti della società si sono fatti avanti nei giorni scorsi per rilevare l’azienda. “Hanno trovato un socio finanziatore – spiega Marco Grandi della Filctem Cgil, sindacato che sostiene il progetto d’acquisto – e vorrebbero comprare il marchio con la promessa di salvaguardare l’occupazione, mantenendo al contempo la produzione sempre a Bologna”. La proposta, però, non è ancora stata accettata. Al termine del tavolo di crisi che si è svolto il 13 novembre presso la Città metropolitana di Bologna, infatti, O-Luxe ha confermato di aver ricevuto “qualche proposta di acquisto della società”, che l’amministratore delegato Lee Byoung Soo si è detto disponibile a valutare attentamente. Nello specifico, oltre a quella dei dipendenti di Omas, c’è anche la proposta di un imprenditore di Carpi, di cui però non si conoscono ancora i dettagli. “Quel che sappiamo di sicuro – spiega Grandi – è che, mentre l’offerta dei lavoratori dell’azienda garantirebbe il mantenimento della sede di Bologna e di tutti i posti di lavoro, l’altra no. Quindi è meno favorevole”. Qualcosa in più si saprà tra due settimane, quando le parti si troveranno di nuovo nella sede della Città metropolitana. Nel frattempo sarà stato nominato il commissario liquidatore. Intanto la preoccupazione per le sorti del marchio resta alta.
Fondate nel 1925 da Armando Simoni, “amante della cultura greca e grande appassionato del mondo della scrittura” che lavorava per l’industria del cinema, già negli anni Trenta le Officine divennero famose per la Penna del dottore, che nascosto nel corpo della stilografica aveva un piccolo termometro clinico. Poi arrivarono i modelli Extra, 361, la Paragon, che lanciarono Omas nel mercato internazionale. Nel 2000, quindi, i francesi di Louis Vuitton comprarono l’azienda dalla famiglia Simoni, per poi vendere il 90% delle quote al gruppo Xinyu Hengdeli, che controlla O-Luxe, società finanziaria con sede ad Hong Kong, nel 2007. E intanto sono arrivati i problemi di bilancio. “Il gruppo cinese – racconta Grandi – ha sì investito del capitale per risanare i debiti della Omas, accumulati negli anni, tuttavia non ha mai tentato di rilanciare il marchio”.
Un po’ come accaduto per la Mandarina Duck, altra storica azienda bolognese, comprata dai coreani e poi finita trasferita a Milano. Le contrazioni del mercato che hanno investito soprattutto i beni di lusso, poi, hanno aggravato la crisi. “Ma tra le concause della situazione della Omas ci sono anche gli scandali sulla corruzione in Cina – precisa il sindacato – O-Luxe aveva comprato l’azienda anche perché usava le penne di lusso come regali. Ora che però, dopo gli scandali, in Cina ci sono più controlli, si è perso interesse”.
Recentemente, tuttavia, tra riorganizzazioni e sacrifici occupazionali, con i dipendenti scesi da 30 a 17 attraverso accordi di uscita volontaria, “c’erano stati buoni segnali di ripresa e si andava verso il risanamento dei bilanci della società”, sostiene Grandi. “Speriamo quindi si trovi una soluzione che salvaguardi sia l’occupazione sia la produzione sul territorio. Le potenzialità per un rilancio ci sono, il prodotto è d’eccellenza e Bologna non può perdere l’ennesimo marchio storico”.