Lo sostiene la Food Standards Agency: "Se sono bruciacchiati aumentano i livelli di acrilammide, una sostanza tossica che si forma a partire da una reazione tra amminoacidi, zuccheri e acqua"
Patate e toast aumentano il rischio cancro: ma per questi alimenti non è necessario diminuirne il consumo come succede con la carne rossa, è sufficiente non cuocerli troppo. E’ quanto emerge da uno studio della Food Standards Agency (Fsa), l’agenzia governativa inglese per la sicurezza alimentare, secondo cui nelle patate e nei toast bruciacchiati aumentano i livelli di acrilammide, una tossina cancerogena. Questo composto si forma a partire da una reazione tra amminoacidi, zuccheri e acqua contenuti nei due alimenti quando sono sottoposti a temperature più alte di 120°C. Per questo Fsa consiglia di non esagerare con la cottura.
In un piatto di patatine fritte arrostite troppo a lungo, gli scienziati hanno rilevato 1,052 microgrammi (µg) di tossina per chilo, 50 volte di più rispetto al piatto cotto in maniera corretta. Per le patate arrosto, invece, il livello è stato di 490 µg per kg, 80 volte di più del normale. L’esperimento condotto sui toast ha dato risultati analoghi: quello più chiaro conteneva 9 µg per kg, mentre quello bruciacchiato 167 µg, almeno 19 volte di più.
Guy Poppy, capo consulente scientifico della Fsa, dopo la pubblicazione del documento ha voluto precisare: “La valutazione del rischio indica che ai livelli a cui siamo esposti con il cibo, l’acrilammide potrebbe aumentare il rischio di cancro. Non consigliamo alle persone di smettere di mangiare determinati alimenti, ma quando si cucinano per esempio le patate in casa, di cuocerle fino alla colorazione dorata“. Gli scienziati hanno inoltre consigliato di non conservare le patate in frigo per non aumentare la quantità di zucchero contenute.
Lo studio britannico non ha tuttavia specificato quale sia una quantità di acrilammide non cancerogena e la Commissione europea sta valutando l’introduzione di una soglia massima consentita. Attualmente l’unica legge esistente sull’argomento riguarda l’acqua potabile: l’acrimallide non può superare lo 0,1 µg per litro, un quantità molto inferiore rispetto a quella rilevata in toast e patate ma anche nel caffè.