La vittima italiana dell'assalto al Bataclan era una ricercatrice all'Ined, istituto della Sorbona, e studiava come i sistemi di welfare aiutano a conciliare maternità e lavoro. In Francia dal 2009, lascia amici sparsi per il mondo che ingoiano le lacrime perché sanno che le avrebbe detestate
Di sicuro non avrebbe voluto tante lacrime. Valeria Solesin avrebbe fissato gli amici con i suoi occhi profondi e avrebbe detto che il dolore si affronta a testa alta. Che morire a 28 anni a un concerto heavy metal al Bataclan di Parigi non è giusto, ma bisogna solo accettarlo. Il più delle volte funzionava così: la vita che fatica a starle dietro, mentre lei corre in ogni angolo con le idee che le saltano da un capello all’altro. Questa era Valeria, la vittima italiana che ha perso la vita durante gli attentati del 13 novembre.
Nata a Venezia, viveva in Francia dal 2009. Al concerto era con Andrea Ravagnani, il ragazzo di Dro (Trento) conosciuto all’università e che per lei aveva cominciato a studiare il francese e si era trasferito nella capitale. Poi Chiara, sorella di lui, e il fidanzato Stefano Peretti. I quattro erano dentro il locale quando c’è stato l’assalto e durante la fuga si sono persi di vista. I documenti della ragazza erano nella borsa della sorella di Andrea e per questo è stato difficile ritrovarla. Per 24 lunghe ore, gli amici e i parenti hanno sperato che la ragazza fosse riuscita a scappare. Poi la mattina del 15 novembre la conferma: Valeria non c’è più. A fare l’annuncio sono stati i genitori. “La porteremo sempre nel cuore”, ha detto la mamma Luciana Milani. “Ricordate che era una persona, una cittadina, una studiosa meravigliosa e mancherà anche al nostro Paese”.
Solesin era ricercatrice in demografia all’Ined, istituto della Sorbona. Un posto tanto desiderato e a cui era arrivata con la fatica di chi ce la fa da sola e si è guadagnato con il sudore ogni centimetro della sua strada. Una laurea in sociologia all’Università di Trento in collaborazione con la facoltà di Nantes in Francia, dove ha trascorso un anno di studi. Poi un master di due anni all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales e infine un master di specializzazione alla Sorbona. Nel mezzo piccoli lavoretti per potersi mantenere, le estati piovose a Parigi sognando il mare di vicino casa sua e i picnic nei parchi parigini a parlare del come sentirsi meno stranieri in un posto che ormai dovrà essere il tuo per un bel po’ di tempo. Studiava le famiglie tra la Francia e l’Italia nel tentativo di comparare i due sistemi. Il perché nel suo Paese fosse così difficile poter essere mamma e professionista, del perché importasse a pochi migliorare le cose. “Come faccio a tornare?” Se lo chiedeva spesso Valeria, anche se alla fine aveva accettato di essere un “cervello in fuga” (come avrebbe odiato quell’etichetta). Solo si rompeva la testa pensando a come dare il suo contributo all’Italia.
A ricordarla, tra i tanti messaggi degli amici, anche Gino Strada che ha voluto omaggiare i suoi anni di volontariato in Emergency. Era tosta Valeria, di quelle a cui fai fatica a mentire e che ti lasciano senza parole. Parlava il francese con l’accento da Saint Germain des Prés, ma bastava ci fosse bisogno di essere un po’ più incisivi che sfoderava con nostalgia il suo dialetto veneto. Lascia amici sparsi per il mondo che ingoiano le lacrime solo perché sanno che le avrebbe detestate.
da il Fatto Quotidiano di lunedì 16 novembre 2015